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L’articolo propone un’interpretazione innovativa della chiusa del canto XIV del Paradiso (vv. 130-139), mai completamente spiegata e giudicata insolita o accessoria anche dai più illustri commentatori del poema. Il passo, piccola crux della critica dantesca, altro non è, in realtà, che un’applicazione del principio di distinzione introdotto nei canti XI e XIII: le meraviglie del cielo di Marte superano, spiega il poeta, non gli occhi di Beatrice in assoluto, ma soltanto l’aspetto che essi avevano nel cielo inferiore. Questa evidente ripresa dell’insegnamento di tommaso, sorprendentemente mai menzionata negli oltre sessanta autorevoli commenti da me consultati, fatta eccezione soltanto per il Bennassuti, se riletta in chiave narratologica permette inoltre finalmente di attribuire a questo passo una funzione nell’economia del poema: ai versi 130-139, infatti, l’auctor replica nella sua percontatio il procedere logico seguito da tommaso nel dialogo con l’agens di Pd XIII per mettere alla prova il lettore, istituendo cosìun gioco di specchi tra livello extradiegetico e diegetico della narrazione. Lungi dal costituire un superfluo sfoggio argomentativo, la chiusa di Pd XIV instaura un dialogo diretto col lettore per invitarlo a partecipare attivamente all’esperienza didattica che la Commedia propone, ponendolo al capo estremo di una lunga catena di conoscenza che lega l’umanità al cielo
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