Alessandro Merlo, Giuseppina Carla Romby, Filippo Fantini, Gaia Lavoratti, Andrea Aliperta, José Leonel López Hernández
Terra di conquistadores, il Centro America vide gli ordini religiosi come una delle componenti più attive del processo di colonizzazione. All’interno delle città la loro presenza è ancora adesso testimoniata dal numero eccezionale di complessi ecclesiali che vennero innalzati tra il XVI ed il XVII secolo. L’antica capitale del Guatemala, ad esempio, mostra una chiesa – nella metà dei casi con annesso convento – nella quasi totalità dei 36 barrios che costituiscono l’ippodamea trama urbana. A seguito del catastrofico terremoto di “Santa Marta” del 1773 la città, patrimonio UNESCO dal 1979, fu rasa quasi interamente al suolo; le fabbriche maggiori vennero a più riprese restaurate e consolidate conseguentemente ai continui danni causati dagli eventi sismici che si susseguirono negli anni. Attualmente si contano 26 iglesias (19 consolidate e 7 allo stato di rovina), di cui solo 11 riaperte parzialmente al culto, e 12 ermitas. L'articolo concerne un progetto pilota – elaborato da un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Firenze (DIDA: Dipartimento di Architettura) e dell’Universidad de San Carlos de Guatemala (CIFA: Centro de Investigaciones de La Faculta de Arquitectura) – che ha come fine quello rilevare e analizzare dal punto di vista stilistico e formale alcuni esempi significativi di tali fabbriche in modo da individuare i loro archetipi e, conseguentemente, di consentire agli studiosi di formulare delle ipotesi sull’aspetto originario dei manufatti mutili, anche attraverso tecniche di anastilosi e ricostruzione virtuale. L’insieme di tali dati desunti dal rilievo digitale, infatti, oltre a documentare lo stato conservativo del bene, permette di realizzare dei modelli 3D ottimizzati e multifunzione, impiegabili con varie finalità, compresa quella legata alla divulgazione degli studi realizzati sui manufatti.
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