La scrittura d’arte di Leonardo Sciascia si inserisce in maniera singolare nell’ampio filone letterario della critica artistica del Novecento, con una discendenza da un lato, alla tra-dizione italiana (Longhi e altri) e, dall’altro, alla écriture d’artiste francese e anglosassone ottocentesca. Le immagini e le opere d’arte vengono lette da Sciascia in maniera affine e parallela alla letteratura, come mezzo unico e flagrante per rappresentare i fatti della vita e dell’uomo, nei loro aspetti di realtà e immaginazione. Nell’arte “la logica del visibile si è messa al servizio dell’invisibile”. Il discorso sull’arte diventa quindi una scrittura “in funzio-ne d’altro”, capace di restituire la presenza dell’assenza di potenzialità. In tale dimensione la sua critica mostra una personale possibilità di ermeneutica ‘sternianamente’ sentimentale, itinerante e ironicamente scettica, che va a costituirsi, per l’ampiezza di prospettive e chiavi di lettura, in uno straordinario caleidoscopio critico.
The art writing of Leonardo Sciascia fits in a singular way in the broad literary vein of artistic criticism of the twentieth century, with a descent to the Italian tradition (Longhi and others) and to the écriture d’artiste nineteenth-century French and Anglo-Saxon. The images and works of art are read by Sciascia in a similar and parallel way to literature, as a unique and flagrant means to represent the facts of life and man, in their aspects of reality and imagination. In art, “the logic of the visible has put itself at the service of the invisible”. The discourse on art thus becomes a writing “in function of the other”, capa-ble of restoring the presence of the absence of potential. In this dimension, his critique shows a personal possibility of ‘sternian’ sentimental hermeneutics, itinerant and ironically skeptical, which, thanks to the breadth of perspectives and interpretations, becomes an extraordinary critical kaleidoscope.
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