Nel Sud Europa agricolo stanno proliferando i cosiddetti ghetti, spazi di vita della componente migrante più fragile proveniente dal Sud globale e impiegata come forza lavoro bracciantile. Tali spazi vengono sovente inquadrati come confini della modernità occidentale, buchi neri in cui operano “caporali” che riproducono quelle che vengono definite come “nuove schiavitù”.
In questo lavoro, partendo da una ricerca-azione svolta nel Sul Italia agricolo (Eboli), si propone di abbandonare una logica del confine e guardare alle modalità attraverso cui il ghetto diventa parte integrante del contesto più ampio, dei suoi modelli sociali, giuridici, economici.
Situando l’etnografia sulle modalità attraverso cui l’intermediazione informale “naviga” queste strutture, il ghetto emerge come una frontiera, intesa non come confine ma come un avamposto che mostra gli effetti più violenti dei campi di forza che agiscono sulla riproduzione della presenza migrante.
In agricultural Southern Europe, so-called ghettos are proliferating. In these spaces he most fragile migrants1 coming from the global South are employed as laborers. These spaces are often framed as the borders of Western modernity, where intermediators operate and reproduce what is defined as "new slavery".
In this work, drawing from a research-action carried out in agricultural Southern Italy (Eboli), I propose to abandon a logic of the border and look at the ways in which the ghetto becomes part of the larger context, of its social, legal, economic models.
By ethnographically focusing on the ways in which informal intermediation "navigates" these structures, the ghetto emerges as a frontier: not a border but a frontline that shows the most violent effects of the structures that act on the reproduction of migrant presence.
© 2001-2024 Fundación Dialnet · Todos los derechos reservados