Il filosofo Karl Popper (1902-1994) ha teorizzato l’esistenza, accanto al mondo fisico della materia e a quello psicologico del pensiero, di un «terzo mondo» riservato alla «conoscenza oggettiva» contenuta nelle teorie, nelle narrazioni, nelle tecnologie, nelle opere d’arte e nelle altre creazioni (soprattutto, ma non esclusivamente, astratte) degli esseri umani, non interamente riducibile – a suo avviso – ai corrispondenti fenomeni psichici che si verificano nelle menti di determinate persone. Tale teoria, piuttosto fortunata nell’ambito delle scienze dell’informazione, implica però numerose incoerenze e implausibilità, in gran parte dovute alle eccessivamente disparate tipologie di contenuti che Popper, nei suoi numerosi scritti sull’argomento, colloca all’interno del suo terzo mondo. Fra i vari tentativi di ridimensionare, razionalizzare e rendere più coerente e utilizzabile il terzo mondo popperiano risulta particolarmente promettente (sebbene non del tutto privo di problematicità) quello legato al concetto (cronologicamente anteriore alla teoria di Popper) di «mentefatto», delineato dal sociologo Earle Edward Eubank (1887-1945), introdotto nelle scienze dell’informazione da Barbara Kyle (1913-1966) e recentemente ripreso da Claudio Gnoli in due articoli pubblicati nel 2018 e nel 2019. I mentefatti, per Eubank, Kyle e Gnoli, sono tutte le entità astratte (o immateriali) create dagli esseri umani, che si contrappongono agli oggetti concreti (o materiali) costruiti dagli stessi umani, denominati «manufatti», e che non vanno confusi coi corrispondenti fenomeni psicologici, meramente soggettivi. Una tipica relazione fra manufatti e mentefatti di particolare interesse per le scienze dell’informazione è quella che identifica i documenti umani intenzionali nell’unione di un manufatto (supporto fisico) con un mentefatto (contenuto informativo).
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