Foggia, Italia
Gode di una certa diffusione fra gli studiosi l’idea che i giuristi romani, influenzati dal pensiero stoico, assimilino talvolta il fenomeno passionale alla patologia mentale di origine organica, sfumandone, di conseguenza, i caratteri in quelli della follia. Di tale circostanza non mancherebbero indizi. Si pensi, a titolo d’esempio, alla tesi - datata, ma che non sembra aver suscitato, nella prospettiva qui discussa, particolari critiche - dell’Audibert sull’origine della cura del prodigo. Secondo lo studioso francese – che ragiona, peraltro, sulla scorta di suggestioni derivanti dalla recente enucleazione di nuove categorie psichiatriche - l’etica stoica, per cui sono insensati quanti si lasciano sopraffare dalle passioni, avrebbe indotto la giurisprudenza romana ad individuare nuove forme di follia, accanto a quella conosciuta dalle XII tavole, e spinto il pretore a considerare pazzi i prodighi, non identificabili come tali sulla base dell’antica legge, al fine di sottoporli a curatela (mentre il pazzo – furiosus - avrebbe avuto un curatore legittimo, il demens o mentecaptus, in quanto monomane - affetto, cioè, da una forma di delirio localizzato, concentrato su un oggetto specifico, che non pregiudica il funzionamento dell’intelligenza - ne avrebbe avuto uno dativo, assegnato dal pretore). In pratica, il magistrato, per sottoporre a curatela i prodighi, sottratti alla previsione dell’antica legge, li avrebbe considerati folli (anticipando, in qualche maniera, gli alienisti dell’’800, che vedono nella prodigalità una probabile manifestazione di malattie mentali). Dunque, quanto meno in questo caso, al fine d’impedire al dissipatore di distruggere il patrimonio di cui è titolare, il più recente diritto avrebbe applicato in tutto il suo rigore l’idea stoica.
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