The emergency legislation of the early Nineties of the last century has produced legislative automatisms in the prison system, based on the need to neutralize prisoners for serious crimes, mostly, mafiosi. These mechanisms, based on absolute presumptions of danger linked to the title of crime which is the subject of the final sentence, immediately and irremediably affect the re-education of the sentence which, in this way, it may not tend to the social reintegration of the condemned, as to his exclusive affliction. If such a consideration of the penitentiary treatment could, however, justify itself at the dawn of the emergency reform – when organized crime was “flogging” our Country - in more recent times, this legislation of absolute rigour no longer appears in line with the constitutional principles governing the subject of criminal execution.
In denying every individualization of the penitentiary treatment, the preclusive automatisms prevent, in fact, an individualized judgment and social integration to the condemned for serious crimes.
Despite the (constitutional and european) jurisprudence had opened a revirement for the overcoming of the legislative automatisms in question, for the home detention “generic” the italian Constitutional Court has stopped this path. Relegating the matter to the plan of criminal policy, not subject to any judgment of constitutionality and departing from important landings reached for other institutions of penitentiary law, the Judge of the laws saves the preclusive mechanisms and considers the convicts for serious crimes not deserving of being admitted to the home detention. The road, once again, will pass probably through the European Court of Human Rights.
La legislazione emergenziale dei primi anni Novanta del secolo scorso ha prodotto una serie di automatismi normativi nell’ordinamento penitenziario, fondati sull’esigenza di neutralizzare i condannati per reati, per lo più, mafiosi. Tali meccanismi, basati su presunzioni assolute di pericolosità legate al titolo di reato oggetto della condanna incidono, immediatamente e in maniera irrimediabile, sulla finalità rieducativa della pena che, in tal modo, potrebbe non tendere al reinserimento sociale del condannato, quanto alla sua esclusiva “afflizione”. Se una tale considerazione del trattamento penitenziario poteva, nondimeno, giustificarsi agli albori della riforma emergenziale – allorquando la criminalità organizzata stava “flagellando” l’Italia – in tempi più recenti, tale normativa di assoluto rigore non appare più in linea con i principi costituzionali che governano la materia dell’esecuzione penale. Negando in nuce ogni individualizzazione del trattamento penitenziario, gli automatismi preclusivi impediscono, infatti, al condannato per reati “ostativi” di vedersi “riesaminata” la pena, nell’ottica di un progressivo reinserimento sociale. Nonostante, inizialmente, la giurisprudenza (costituzionale e europea) avesse aperto a un revirement per il superamento degli automatismi in parola, in tema di detenzione domiciliare “generica” la Corte costituzionale ha arrestato tale percorso. Relegando la materia al piano della politica criminale, non assoggettabile ad alcun sindacato di costituzionalità e discostandosi da importanti approdi raggiunti per altri istituti di diritto penitenziario, il Giudice delle leggi “salva” i meccanismi preclusivi e considera i condannati per reati c.d. ostativi non meritevoli a priori di essere ammessi alla detenzione domiciliare “generica”. La strada, ancora una volta, passerà probabilmente per la Corte europea dei diritti dell’uomo
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