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"Forse s'avess'io l'ale": Leopardi im Dialog mit Pico oder: "dignitas" und "indignazione" des Menschen

  • Autores: Barbara Kuhn
  • Localización: Romanische Forschungen, ISSN-e 1864-0737, Vol. 116, Nº. 4, 2004, págs. 485-501
  • Idioma: alemán
  • Texto completo no disponible (Saber más ...)
  • Resumen
    • L'articolo prende spunto dal parallelo a prima vista sorprendente tra la tesi formulata nella famosa orazione pichiana "De hominis dignitate", secondo la quale non ci sarebbe un posto sulla terra destinato appositamente all'uomo, e la scoperta dell'Islandese leopardiano che l'uomo non trova la pace da nessuna parte, ma si sente perseguitato dalla natura »in ogni dove«. Come già nel Quattrocento e nel Cinquecento, anche nell'Ottocento, questa tesi o scoperta interessa soprattutto per le sue implicazioni antropologiche, ma la conseguenza che Leopardi nel suo Dialogo della Natura e di un Islandese trae dall'orazione sembra opposta a quella formulata dall'Oratio stessa. Mentre l'uomo di Pico diventa veramente uomo solo a condizione d'innalzarsi sopra il proprio stato, l'Islandese cerca esclusivamente la sua pace e dunque, nell'ottica neoplatonica, sarebbe più animale che uomo. Coerentemente con questa prospettiva, l'io del Canto notturno invidia la presunta inconsapevolezza del suo gregge, grazie a cui questo condurrebbe una vita felice, perché non conosce né ricorda né prevede la propria miseria o noia, ma vive tranquillamente nella sua indifferenza. C'è però una specie di animali che appare contenta e lieta piuttosto che indifferente o seria, e perciò il »filosofo solitario« di Leopardi canta non più un elogio »de hominis dignitate«, ma un Elogio degli uccelli. Egli scopre le ragioni della loro felicità apparente, — o del loro canto della felicità finta delle cose —, nella loro forza immaginativa, e così trasforma l'essere uccello, servendosi come tramite dell'analogia con il fanciullo, in un'immagine dell'essere poeta. Se l'immaginazione diventa così la conditio sine qua non di una nuova orazione »de hominis dignitate«, in cui il filosofo ottocentesco ritrova le riflessioni quattro e cinquecentesche, egli può ritrovare quest'ultime però solo in modo riflesso o addirittura rovesciato, cioè nel modo dell'ironia leopardiana.


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