La necessità di un equilibrio tra “certezza della pena” e “rieducazione del condannato” postula che la pena consista in un trattamento umano e rispettoso della dignità della persona. Posta tale premessa, l’Autrice mette in relazione il fenomeno della sovrappopolazione carceraria con i principi che stanno a base della cooperazione giudiziaria, di cui il MAE rappresenta la prima concretizzazione, per rilevarne le possibili alterazioni dei rapporti tra le autorità giudiziarie, in particolare quando si tratta di accogliere o rifiutare la consegna del condannato a pena detentiva. In tale contesto sembra apprezzabile il nuovo approccio della Corte di Lussemburgo che, nella decisione del 5 aprile 2016, ha, dapprima elevato a valore guida, nelle decisioni di consegna, la dignità e il connesso divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 CEDU, e dopo, tracciato iter e presupposti affinché il rifiuto di eseguire il MAE da parte dello Stato di esecuzione possa essere validamente espresso. Dictum europeo che è stato immediatamente recepito dai nostri giudici di legittimità.
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