Una sfida cruciale che le biblioteche devono oggi raccogliere, in quanto agenzie di intermediazione di documenti, è caratterizzata da due circostanze concorrenti: la sovrabbondanza delle informazioni disponibili in rete e la tendenza diffusa e irriflessa a considerare ciascuna fonte come vera. Su uno sfondo non lontano si colloca la pericolosa convinzione – propria del mondo contemporaneo – che la verità non esista e che ogni sguardo sul mondo abbia la medesima legittimità di qualunque altro. Questi presupposti mettono in crisi l’idea stessa di biblioteca nella sua funzione primaria di punto di incontro autorevole, e in fin dei conti legittimo, fra documenti e utenti.
L’articolo si propone di portare argomentazioni a sostegno della tesi secondo la quale, a maggior ragione in una società caratterizzata dalla pluralità irriducibile dei valori e dei punti di vista, la ricerca del vero deve ricondurre a unità dimensioni di ordine gnoseologico, epistemologico, etico, civile e tecnico-professionale. La verità non è qui intesa, ingenuamente, come certezza incontrovertibile, ma è discussa tanto nella sua problematica consistenza quanto nella sua ineludibilità. Sono discusse tre questioni complementari: l’idea di verità in quanto tale; la necessità di separare nettamente i concetti di laicità e di indifferenza; la necessità di riportare il trattamento delle collezioni di una biblioteca da un livello astratto ad un piano di realtà, ossia quello del rapporto con gli utenti ‘come sono davvero’. Viene ribadita la disperata attualità della missione delle biblioteche pubbliche e del ruolo professionale dei bibliotecari come presidio della libertà di pensiero e di una conoscenza libera, critica e consapevole.
© 2001-2024 Fundación Dialnet · Todos los derechos reservados