Il presente saggio esamina le funzioni metaestetiche e poetologiche che il mito di Narciso assume nella lirica di Francesco Petrarca e di Giovanbattista Marino. La confusione tra persona e rifl esso, fatale al mitico giovane, viene funzionalizzata da entrambi i poeti nel senso di una rifl essione sul dilemma tra essere e apparire. In Petrarca, il problema acquista i tratti di un dissidio descritto secondo i termini della filosofi a morale. Colpito dalla bellezza di Laura, l’io lirico del Canzoniere fatica a distinguere tra l’idea divina rifl essa dall’amata, e la sua immagine terrena, che sviluppa una seduzione del tutto sensuale. La gerarchia neoplatonica di modello (divino) e copia (terrena) viene intaccata dal potere di un’immaginazione affetta dai sensi. Nel sonetto mariniano, invece (uno dei quattro successivi che Marino, nella sua Galeria, dedica a Narciso), l’illusione che uccise il giovane cacciatore del mito ovidiano è evocata con accenti celebrativi. Come mostra la similitudine della tigre ingannata dallo specchio, la magia dell’arte consiste nella sua possibilità di appropriarsi, grazie al suo specchio fatato, della forza vitale della natura. Il rifl esso della natura nello specchio genera un simulacro che non può più essere inteso come copia di un originale, ma come dotato di vita propria. In questo modo, Marino fonda un’estetica della simulazione, che non considera l’opera d’arte come rifl esso di un modello preconcetto, ma come »inganno«, fi nzione senza riferimento. Questa estetica viene realizzata dalla poesia stessa, che invita il suo lettore a godere delle capacità illusionistiche dell’arte
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