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Circolazione e pubblico dei poeti pagani: Terenzio, il "Delusor", Rosvita

  • Autores: Claudia Villa
  • Localización: Filologia mediolatina: rivista della Fondazione Ezio Franceschini, ISSN 1124-0008, Nº. 21, 2014, págs. 9-21
  • Idioma: italiano
  • Texto completo no disponible (Saber más ...)
  • Resumen
    • L'A. fornisce un quadro della fortuna e della diffusione di Terenzio tra IX e X secolo. La prima menzione esplicita della presenza delle commedie di Terenzio in età carolingia si offre nell'inventario di libri copiato all'interno del ms. Berlin, SB, Diez B Santen 66 (sec. VIII ex.), che vari indizi inducono a ritenere impiegato nell'ambito della corte itinerante (fra Pavia e Verona) di Pipino, figlio di Carlo Magno. Gli scritti di Terenzio continuarono a circolare nel IX secolo, come attestano l'elegante codice miniato Vat. lat. 3868, esemplato probabilmente ad Aquisgrana sulla base di un modello tardo-antico già provvisto di illustrazioni, e varie altre copie illustrate (Paris, BNF, lat. 7900, lat. 7899; Milano, Ambrosiana, H 75 inf. olim S.P. 4 bis) prodotte fra Corbie e Reims. L'esecuzione del Terenzio Ambrosiano sembra doversi porre in collegamento con il magistero di Gerberto di Aurillac, che promosse a Reims la lettura dei classici, introducendo i suoi allievi alle analisi stilistiche del genere comico. Allo stesso Gerberto potrebbe legarsi anche il dialogo scolastico noto come Delusor (ms. Paris, BNF, lat. 8069), nel quale una disputa fra Terenzio e un suo detrattore diviene occasione per una raffinata riflessione sui temi della delectatio e dell'utilitas. Negli stessi decenni, Terenzio conobbe uno straordinario successo anche al di là del Reno, presso i membri della corte ottoniana: circostanza ben documentata dal ms. Oxford, Bodl. Libr., Auct. F.6.27 (recante una sottoscrizione che ne assegna il possesso a tre adulescentule della casa imperiale di Sassonia) e da altri mss. variamente riconducibili alle aristocrazie di corte (Firenze, Laurenziana, Pl. 38.24; London, BL, Harley, 2750). Il riconoscimento, nel ruolo di committenti e lettori, di personaggi estranei alla professione monastica proietta nuova luce anche sull'attività della canonichessa Rosvita, ben decisa a contrastare la lettura del commediografo antico, e consente, più in generale, di apprezzare il contributo delle corti e delle cancellerie laiche alla sopravvivenza della letteratura antica


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