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Resumen de La moneta unica europea

Fernando Vianello

  • In questo scritto, completato nel 2005 e rimasto inedito, l’autore si propone di fornire uno schema concettuale adatto a comprendere i motivi del diverso andamento, nel lungo periodo, dei tassi di crescita della produzione e dell’occupazione nell’economia europea e americana. Egli sottolinea la continuità, in Europa, fra la bassa crescita imposta dal funzionamento del Sistema monetario europeo negli anni Ottanta e il ristagno economico nella fase successiva alla formazione dell’Unione monetaria.A questo protratto rallentamento europeo si contrappone una lunga espansione americana. L’autore argomenta che negli Stati Uniti tutti gli strumenti disponibili, dalla politica fiscale a quella monetaria e del cambio, alla politica industriale, sono stati posti al servizio della crescita economica e del mantenimento di un elevato livello di occupazione. Perché – si chiede l’autore – un simile impegno è mancato completamente in Europa? La risposta va ricercata sia sul piano delle scelte compiute nel corso del processo di unificazione monetaria (considerato separatamente da quello dell’unificazione politica), sia su quello della teoria economica che ha fornito un sostegno a quelle scelte. Da un lato, lo smantellamento del controllo dei movimenti di capitali e l’abbandono di un sistema di cambi fissi ma aggiustabili a favore di un regime di cambi fissi ha ridotto l’autonomia della politica monetaria e valutaria nel momento in cui concedeva illimitata libertà d’azione alla finanza internazionale: ne sono derivate crisi finanziarie e sacrifici di reddito e occupazione. Dall’altro principi e regole di funzionamento dell’Unione economica e monetaria hanno posto limiti alla libertà d’azione dei governi in materia fiscale anche in caso di protratto rallentamento della crescita. A numerose restrizioni, inoltre, sono state sottoposte le politiche industriali.

    L’orientamento restrittivo delle politiche macroeconomiche europee è coerente con la promozione di un processo di ristrutturazione industriale basato sull’abbandono dei segmenti “maturi” della filiera produttiva, sulla riduzione della protezione sociale e sul progressivo smantellamento delle istituzioni del mercato del lavoro. La stessa teoria che aveva fornito argomentazioni in favore della libertà dei movimenti dei capitali e di orientamenti restrittivi delle politiche macroeconomiche è tornata a sostenere, come negli anni Trenta, che la disoccupazione è dovuta non all’insufficienza della domanda effettiva, ma a “rigidità” del mercato del lavoro. Negli anni Trenta, Keynes aveva definito questi orientamenti «ingannevoli e disastrosi se si cerca di applicarli ai fatti dell’esperienza».


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