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“Scrivere la storia significa incasinare la geografia”: mappe postcoloniali

  • Autores: Chiara Mengozzi
  • Localización: Etudes romanes de Brno, ISSN 1803-7399, Vol. 37, Nº. 2, 2016, págs. 31-44
  • Idioma: italiano
  • Títulos paralelos:
    • “Writing History Means Playing Havoc With Geography”: Postcolonial Maps
  • Enlaces
  • Resumen
    • English

      After having defined the role of the maps within European expansionist plans and the different uses of this topos in (post)colonial literature, my paper will focus on two emblematic novels, which share the same basic assumption, namely the idea that history, both individual and collective, is closely related to the mapping of urban and national territory: La mia casa è dove sono written by Igiaba Scego, and Maps by Nuruddin Farah. I will demonstrate that 1) Scego´s novel leads to a conciliatory construction of identity based on the confidence in narratives as a mean to “give an account of oneself” and on un unwarranted equivalence between “I” and “We” 2) Nuruddin Farah´s Maps, on the contrary, conceives the relation between individual and collective or between being member of a family and being member of a nation in allegorical way and adopts the point of view of an unreliable narrator. This way, he provides a convincing criticism of narrative as a privilege reserved to the members of the wealthy metropolitan elite, and sketches out a new geography of interpersonal and international relations where the frontiers are wholly de-naturalized.

    • italiano

      Dopo aver precisato il ruolo delle mappe nel quadro dei progetti espansionistici dell’Europa e i diversi usi di questo topos nella letteratura (post)coloniale, il contributo si focalizza su due opere emblematiche, che condividono la stessa ipotesi di fondo, ovverosia l’idea che la storia individuale e collettiva siano strettamente correlate alla cartografia del territorio urbano e nazionale: La mia casa è dove sono di Igiaba Scego e Maps di Nuruddin Farah. Si dimostrerà che, mentre il romanzo di Scego giunge a una proposta identitaria conciliatoria basata sulla fiducia nella narrazione come strumento “per rendere conto di sé” e su una disinvolta equivalenza tra l’“io” e il “noi”; quello di Farah, concependo il rapporto tra l’individuale/familiare e il collettivo/nazionale secondo le modalità dell’allegoria e facendo del protagonista un narratore inaffidabile, approda a una convincente critica della narrazione come privilegio delle elite metropolitane, e delinea una nuova geografia di rapporti interpersonali e internazionali dove le frontiere risultano completamente denaturalizzate.


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