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L'eloquenza visiva delle imprese: da Giovio a Tesauro

  • Autores: Fabio Giunta
  • Localización: Studi e problemi di critica testuale, ISSN 0049-2361, Nº. 93, 2016, págs. 97-112
  • Idioma: italiano
  • Texto completo no disponible (Saber más ...)
  • Resumen
    • Partendo dal presupposto che, nel Seicento, 'la parola diventa figurata e si intensifica un processo di verbalità iconica in seno ai vari generi letterari', l'A. indaga, dal punto di vista storico, la trattatistica relativa al genere delle imprese focalizzando l'attenzione su elementi retorici e figurativi rintracciabili in una lunga tradizione che va da Paolo Giovio a Emanuele Tesauro. Per il primo, come dichiara nel "Dialogo delle imprese militari e amorose" (1555), l'impresa è un'unione perfetta tra anima e corpo; per il secondo, l'impresa si colloca all'interno di una teoria dell'espressione figurata fondata sull'argutezza. Difatti, è con Girolamo Ruscelli ("Le imprese illustri", 1566) che la teoria delle imprese inizia ad essere studiata con gli strumenti della retorica aristotelica. Tra Giovio e Tesauro i principali protagonisti di tale tradizione sono Scipione Ammirato, Torquato Tasso e Scipione Bargagli. Secondo Ammirato ("Il Rota overo dell'imprese", 1562), l'impresa è un 'senso nascosto che contiene celata la sua soluzione'; Tasso, nel "Conte" (1594), ne coglie l'aspetto barocco; Bargagli ("Dell'imprese", 1594), individua nella novità e nell'ingegno la sua singolarità.


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