Il saggio riprende, con alcuni ampliamenti e l’aggiunta delle note, il testo letto dall’Autrice all’Istituto Svizzero di Roma il 7 aprile 2009, in occasione della presentazione del III volume speciale della Rivista dedicato ai rinvenimenti nel santuario di Francavilla Marittima presso Sibari, dedicato sin dall’VIII secolo a.C. ad una divinità muliebre poi riconosciuta come Athena.
Il testo costituisce una disamina ed un approfondimento –soprattutto nel commento e nei puntuali riferimenti di confronto– della ceramica trafugata mediante scavi clandestini dalla sommità del Timpone della Motta (ma in realtà proveniente da una stipe, detta I, scoperta da M.W. Stoop negli anni Settanta del secolo scorso), dispersa sul mercato antiquario, e infine restituita all’Italia nel 2000.
La prima osservazione riguarda il fatto che, accanto ad una indiscutibile prevalenza di vasellame esportato da Corinto, vi sia una notevole quantità di ceramiche greco-orientali.
Ed è soprattutto il significativo rimando a esemplari di fabbriche rodie (a cominciare da un’oinochoe tardo-geometrica, degli inizi del VII secolo a.C., che costituisce l’esatto pendant di una rinvenuta all’Incoronata di Metaponto, per proseguire con un esemplare molto vicino alle Vogelkotylai da tombe di Jalysos e Thera, riferite da Coldstream ad officina jalisia o di Kamiros) che interessa dimostrare in questa sede, così come l’ampia diffusione delle imitazioni locali, soprattutto in relazione alla fabbrica di Vroulià (il cui quadro distributivo viene ora aggiornato ed esteso sino alla Francia). Anche il minuto frammento di ansa di un boccale chiota, che rappresenta una rarità per l’Occidente, in quanto attestato finora soltanto a Cerveteri in una tomba della Banditaccia del 650 a.C., conferma tale orientamento, dimostrando come anche l’area di Francavilla fosse toccata da una rotta mercantile già attiva prima della colonizzazione greca, e che tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del successivo coinvolse agenti ellenici e semitici, fino a portare all’insediamento dell’Incoronata ed alla fondazione di Siris, con radicali trasformazioni e innovazioni culturali, soprattutto nelle dinamiche dello scambio e nell’assetto socio-economico, desunte dal mondo greco.
Tale corrente emporica – che convoglia nella vicina Policoro tre pithoi rodii a scopo sepolcrale- conferma la presenza in zona di coloni originari dell’isola cicladica ed è responsabile anche del trasporto di anfore dette greco-orientali (ma di fabbrica non ancora ben localizzata), una delle quali rinvenuta proprio in una tomba della necropoli di Macchiabate (ma diffuse anche in Sicilia, nell’isola di Ischia, in ambito etrusco, e fino in Andalusia), recanti contrassegni presso o sopra le anse, riferibili a centri di Mischkultur, tra cui ben noti quelli rodii, ove operavano per produzioni specializzate meteci in grado di interagire con le genti locali. Stessa origine per gli scarabei in faience e i vaghi trilobati o antropomorfi in pasta vitrea relativi a collane di produzione levantina o rodia, documentati negli Athenaia di Lindos e Jalysos, così come in altri santuari relativi a divinità muliebri (o in tombe di donne o bambini) presenti in fondazioni greche o fenicie, oltre che nell’Etruria medionale (e da qui rimbalzati a Bononia o nel Piceno).
Il quadro storico che si profila è dunque analogo a quello delineato per l’area sirite-metapontina, abitata da popolazioni locali, dove la frequentazione “pre-coloniale” si unisce a stanziamenti (con finalità produttive) di genti di origine insulare o microasiatica, cui seguirà, intorno al 660-650 a.C., la fondazione coloniale vera e propria.
Anche gli alabastra per cosmesi riconducono alla stessa origine, sebbene la critica più recente li attribuisca a produzione milesia anziché rodia. Fra i vasi configurati, la singolare forma a rospo (documentata anche nell’Etruria meridionale per tramite di Gravisca, ove operavano mercanti greco-orientali), che nella sua connessione con l’acqua rimanda a una simbologia di fertilità, rinascita e vita eterna, potrebbe contribuire a far luce sui culti praticati nel santuario sul Timpone della Motta. Il risvolto maschile di tale culto è reso dai balsamari configurati, la cui iconografia non è però quella di Bes, bensì di Ptah-Pateco, dio egizio delle attività artigianali e produttive, nonchè protettore dai demoni e dai veleni, che in contesti greco-orientali è stato visto anche come immagine dei Telchini di Rodi.
Quanto al bucchero ionico, prodotto anch’esso a Rodi, Samos e nella Jonia meridionale tra la fine del VII e la metà VI secolo a.C., se ne ricorda la diffusione anche a Gravisca e Populonia, centro minerario dell’Etruria settentrionale, assai aperto e ricettivo nei confronti delle importazioni greco-orientali.
Una certa importanza riveste la ceramica achea e acaizzante (alla cui diffusione sono ora aggiunti due nuovi kantharoi dalle tombe di Gricignano di Aversa): a Francavilla abbiamo importazioni e produzioni locali, come anche in altre località della costa ionica e in Sicilia, ove il kantharos è la forma prevalente. Viene riconosciuto che la ceramica coloniale (attestata dal tardo VIII alla prima metà del VI a.C., con una prevalenza di vasi con funzione potoria accanto ad altri di piccole dimensioni, legati forse a riti di passaggio) rappresenta la parte più corposa e difficile nella classificazione generale. Nel gruppo enotrio, due brocche importate dalla Daunia e un frammento di forma chiusa dalla Messapia costituiscono utili indicatori di contatti e scambi con le comunità vicine.
Tra le offerte votive alla dea, spicca come raro dono maschile lo scudo miniaturistico con doppia teoria di punti al centro e bordo sovradipinto in rosso, che si relaziona con i rituali di passaggio degli efebi all’età adulta, appropriati in un contesto sacro ad Athena (o ad altre dee armate, come Afrodite o Hera Hoplosmia), di cui è nota la funzione curotrofica nei riguardi dei giovani destinati ad assumere l’armamento al momento del loro ingresso nella società: lo scudo oplitico appare dunque anathema preferito e simbolo per il tutto.
Anche i frammenti di uova di struzzo — rari peraltro nelle colonie magno-greche e in Sicilia — evidenziano i contatti con l’Oriente come prodotti esotici di pregio, al pari della patera bronzea fenicia dalla celebre Tomba Strada trovata da P. Zancani a Macchiabate e di quella in argento dorato dalla T. Strada 4, che trovano dei corrispettivi in una sepoltura di Vetulonia, necropoli di Poggio alla Guardia (la VII del “primo circolo di pietre interrotte”). E altrettanto dicasi del sigillo-scarabeo in serpentina rossa del Lyre-Player Group (con una presunta lettera in alfabeto aramaico o fenicio), dalla t. 69 di Francavilla, che –lungi dal documentare collegamenti con Pithecusa e legami col mondo euboico– rimanderebbe piuttosto all’ambito levantino e ai commerci che, lungo le rotte cui si accennava prima, raggiungevano direttamente e senza intermediazioni anche le coste tirreniche etrusche.
This article is an elaboration of a paper presented by the author, with some amplification and notes added, at the Istituto Svizzero di Roma on 7 April 2009 upon the occasion of the presentation of the Third Special Volume dedicated to the discoveries at the FrancavillaMarittima sanctuary near Sybaris, which from the 8th century BC was dedicated to a goddess, later recognised as Athena. The text constitutes a closer, more in depth examination — especially in the comments and timely comparisons — of the pottery stolen as a result of clandestine excavations at the top of the Timponedella Motta (the vases actually come from a stipe, called I, discovered by M. W. Stoop in the 1970s) and sold in the antiquarian market until finally returned to Italy in 2000.
The first observations concern the fact that, next to the indisputable prevalence of vases exported from Corinth, there exists a notable quantity of Eastern Greek pottery. The paper, above all, makes reference to the significant examples from workshops in Rhodes (beginning with a late–Geometric oinochoe from the early 7th century BC that is the exact complement to a find from the Incoronata of Metaponto, leading to an example close to the Vogelkotylai from the Jalysos and Thera tombs, attributed by N. Coldstream to workshops in Jalysos or Kameiros), as well as to the ample diffusion of local imitations, particularly in relation to the Vroulia workshop (the extent of its diffusion is now known to have reached as far as France). Also the minute fragment of a handle of a jug from Chios (a rarity in the West as until now the only other such documented find is from the Banditaccia necropolis in Cerveteri, dating from 650 BC) confirms this article’s premise that also the Francavilla area was part of an active trading route before Greek colonization. Moreover, between the end of the 8th and beginning of the 7th century BC, both Greek and Semitic agents were involved in bringing the radical transformations and cultural innovations, that led to the eventual settlement of Incoronata and the founding of Siris. This in turn brought about a new dynamic in terms of exchange and in the socio–economic order gleaned from the Greek world.
This traffic, which was responsible for the transportation of three pithoi specifically for burial purposes from Rhodes to nearby Policoro confirms the presence in the area of colonies from the Cyclades Islands. It is also responsible for the transportation of amphorae, said to be from the Eastern Greek (though the precise location of their origin remains undefined), one of which was discovered in a tomb in the Macchiabate necropolis (they have been found also in Sicily, on the Island of Ischia, in Etruscan areas, and as far away as Andalusia), with characteristic signs near or on top of the handles. These signs are typical of the well–known centres of Mischkultur, such as Rhodes, where foreigners capable of interacting with the local populations were active in specialised productions. A similar origin may be attributed to the scarabs in faience and the trilobate or anthropomorphous beads in glass paste made for necklaces that were produced in the Levant or the island of Rhodes. On the island they are documented in the Athenaia of Lindos and Jalysos as well as in sanctuaries dedicated to female divinities (or in women’s or childrens’ tombs) found in Greek and Phoenician colonies, in addition to southern Etrurian centres (which spread from here to Bononia and toward Piceno).
The historic horizon is thus similar to that outlined for the Siris and Metapontum area. ‘Pre–colonial’ trading with the local populations was combined with special settlements to facilitate production established by people originating from the Greek islands or Asia minor, after which followed proper colonization in 660 to 650 BC.
Also the alabastra used to contain cosmetics have the same origin, even if recent scholarship attributes them to Milesian rather than Rhodian production. Among the plastic vases, the unusual toad is worth noting (documented also in southern Etruria through Gravisca, where Eastern Greek merchants were active); its connection to water can be linked to symbols of fertility, rebirth and eternal life. It may also shed light on the cults practiced in the sanctuary on top of the Timpone of the Motta. The male component of this cult can be observed in the little vessels for perfume, whose iconography however is not that of Bes, but Ptah Pateco, the Egyptian god of artisans, as well as protector from daemons and poisons, which, in an Eastern Greek context, has also been interpreted as an image of the Telchines of Rhodes.
Regarding the Ionic bucchero, also produced in Rhodes, Samos and in southern Ionia between the end of the 7th and the first half of the 6th century BC, its diffusion is documented in Gravisca and Populonia, a mining centre in northern Etruria that was quite open and receptive to imports coming from the Eastern Greece. Also very important are Achaian and Achaian–style pottery (their diffusion now includes two new kantharoi from the graves of Gricignano of Aversa). We have examples that were imported or produced locally in Francavilla as well as other locations along the Ionian coast and in Sicily, where the kantharos is the prevailing form. It must be acknowledged that colonial pottery (attributed to the 8th to the 6th centuries BC, with a prevalence of drinking vessels as well as smaller containers, perhaps connected to rituals of passage) represents the largest and most difficult part in the general classification of ancient Greek pottery. In the Oenotrian group there are two jugs imported from Daunia and a fragment from Messapia that are useful indicators of contact and trade with neighbouring communities.
Among the votive offerings to the goddess, the miniature shield with a double row of dots at the center and painted red border stands out as a rare masculine offer. It is related to the ritual passage of boys into manhood and is thus suitable in a context sacred to Athena (or other armed goddesses such as Aphrodite or Hera Hoplosmia) who were noted for their curotrophic function with regard to youths destined to carry arms the moment they entered society. The hoplite’s shield thus appears as the favourite anathema, as well as a symbol of the warrior’s armament.
Even the fragments of ostrich eggs — rare in the colonies of Magna Graecia and Sicily — are evidence of contact with the Orient. They were precious and exotic items, as well as the Phoenician bronze patera found in the famous Strada tomb by P. Zancani at Macchiabate and that in gilded silver from T. Strada 4. There are corresponding finds in a grave of the necropolis of Poggio alla Guardia, Vetulonia (tomb VII from the “primo circolo di pietre interrotte”). And the same can be said of the serpentine red scaraboid seals of the Lyre–Player–Group (with a presumed letter from the Aramaic or Phoenician alphabet) from Francavilla’s tomb 69. Although not intending to show connections with Pithecusae or the Euboic world, it does however refer to the Levantine context and the trade that along the routes mentioned earlier was able to reach directly and without any intermediation the Etruscan coastline along the Tyrrhennian sea.
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