Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Mezzi di diffusione dell'istruttoria dibattimentale e genuinità della testimonianza (di Francesca Romana Mittica, Dottore di ricerca in Diritto pubblico – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Il diritto di cronaca giudiziaria va bilanciato con l’esigenza di neutralità della testimonianza.

I mezzi di informazione, sia radiofonica che televisiva, accedono alle aule di giustizia in virtù della pubblicità delle udienze penali, principio salvaguardato a pieno titolo anche dalla Cedu; tuttavia, l’eco mediatica può determinare un’incrinatura della verità processuale e un’adulterazione della prova, laddove il testimone deponga dopo aver letto o ascoltato le dichiarazioni già rese da terzi.

È evidente l’ineffettività della disciplina prevista all’art. 149 norme att. c.p.p., la quale vorrebbe impedire a chi deve deporre di conoscere quel che è accaduto in udienza.

Means of disclosure of the hearing and authenticity of the testimony

The right of judicial news must be balanced with the need for neutrality of the testimony.

The media, both radio and television, access the courtrooms by virtue of the publicity of the criminal hearings, a principle fully safeguarded also by the ECHR; however, the media echo can lead to a crack in the truth of the trial and an adulteration of the evidence, where the witness testifies after reading or listening to the statements already made by third parties.

The ineffectiveness of the regulations provided for in art. 149 norms act. c.p.p., which would like to prevent those who must testify from knowing what happened at the hearing.

SOMMARIO:

1. Influenze sulla testimonianza - 2. Pubblicità delle udienze penali e accesso dei mass media al dibattimento - 3. I contatti esterni del testimone: un cenno all’area di common law - 4. La disciplina sul divieto di contatti che precede la deposizione in udienza - 5. Pubblicità delle udienze e divulgazione dei contenuti: la posizione della Corte edu - 6. L’informazione nel processo penale e il rischio di influire sui contenuti narrativi - 7. Conclusioni - NOTE


1. Influenze sulla testimonianza

È paradigmatica la definizione di testimonianza offerta da Jeremy Bentham: «Un testimonio è un ente morale dotato della facoltà di sentire, di percepire, di attendere, di giudicare, di ricordarsi, di immaginare; un ente morale in cui esistono e si sviluppano per sorprendente e mirabile interna predisposizione i germi di tutte le morali affezioni; un ente morale indefinibile, stretto da mille rapporti, subordinato a recondite leggi, meraviglia di sé e degli altri». E ancora più incisivo è il suo ammonimento: «Procedete quindi più oltre: esaminate le anomalie della facoltà di sentire, indagate i gradi di maggiore o minore forza nel percepire, scoprite gli ostacoli che per avventura si possono opporre all’attenzione, marcate i molteplici errori del giudizio, svelate le vacillazioni e le infedeltà della memoria, diradate, se vi è possibile, i vapori dell’immaginazione, e frenatene i voli» [1]. Tali enunciati sottolineano tanto l’importanza della fonte testimoniale quanto i fattori di disturbo che ne possono ridurre la portata. L’apparato sensorio, infatti, sceglie i possibili stimoli codificati secondo modelli prodotti da ciascun individuo e costruiti sulle impressioni che compongono l’esperienza percettiva la cui rappresentazione varia nell’iter mnemonico, tanto più se la reminiscenza non è spontanea ma sollecitata [2]. Già all’inizio del secolo appena trascorso gli studiosi di psicologia indagavano sulle cause fisiologiche, mentali e situazionali che gravano sulla testimonianza e sul suo tasso di attendibilità [3]: meritano di essere ricordati un lavoro di Stern sulla fallacia della memoria [4], risalente al 1901, e il primo trattato di psicologia giudiziaria di Hugo Munsterberg [5], il controverso psicologo di Harvard, secondo cui il metodo psicologico va applicato al processo per poter scrutare il ricordo, scoprire la menzogna, valutare la confessione e persino prevenire il crimine. Inoltre, Freud nel 1906 aveva proposto l’uso di test di associazioni di parole e di esperimenti sui tempi di reazione per determinare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Contributi basilari sono, poi, quelli offerti da Cesare Musatti e da Enrico Altavilla che hanno magistralmente dimostrato la rilevanza dell’analisi psicologica sulle dinamiche della [continua ..]


2. Pubblicità delle udienze penali e accesso dei mass media al dibattimento

La possibilità per i mass media di fare cronaca “entrando” in un’aula di tribunale trova la propria ragion d’essere nel principio di pubblicità dell’udienza [19]. «Pubblici siano i giudizi e pubbliche le prove del reato» scriveva nel 1764 Beccaria, sottolineando che il segreto è «il più forte scudo della tirannia» [20]. La pubblicità del rito, sin dalla concezione illuminista [21], riveste un ruolo centrale per assicurare la genuinità della prova testimoniale: considerato che «la menzogna può essere audace nell’interrogatorio segreto, è difficile che lo sia in pubblico, e ciò è estremamente improbabile dalla parte di ogni uomo, che non sia interamente depravato» [22]. Secondo tale pensiero, dal momento che tra il pubblico qualcuno potrebbe essere al corrente della verità, il teste evita di dire il falso per il timore di poter essere smentito [23]. Di contro, in tempi remoti, si asseriva che «la suggestione dell’ambiente – la pubblicità – riesce ad ostacolare quei momenti di confidenza, d’abbandono dai quali un giudice abile riesce a trarre importanti rivelazioni» [24]. Tale concezione, tramandata attraverso la dottrina ottocentesca [25], secondo cui una deposizione che implica dati intimi potrebbe risultare maggiormente attendibile ove il testimone non si sentisse osservato da un vasto uditorio, ha riscosso del credito fino al 1930 [26]. Successivamente, la tesi dell’assunzione della prova in regime di pubblicità e il metodo a porte aperte sono stati considerati più affidabili, non potendosi «negare che l’assunzio­ne corale e lo stesso rito del giuramento esercitino un’utile pressione psicologica» [27]. E, in ogni caso, l’efficacia della presenza del pubblico nel dibattimento non è legata solo all’influsso psicologico ma è legata alla possibilità di valutare personalmente la veridicità della deposizione [28], rispetto al comportamento e al linguaggio non verbale tenuto dal teste [29]. La pubblicità dell’udienza penale costituisce, inoltre, un antidoto contro gli abusi: essa rappresenta «the best security for the pure, impartial, and efficient administration of justice, and the best means of winning for [continua ..]


3. I contatti esterni del testimone: un cenno all’area di common law

Il tema sulla neutralità della testimonianza [45] è affrontato in maniera differente [46] nell’ambito di sistemi tradizionalmente accusatori [47]. Appare preliminare passare in rassegna le regole in materia previste dall’ordinamento anglosassone, nel quale la cross examination, ritenuta dagli addetti ai lavori lo strumento migliore per testare l’onestà della testimonianza, ha avuto la sua genesi. Ivi, in ragione della parità tra le parti processuali, il testimone, considerato strumento indispensabile ai fini del giudizio, può entrare in relazione anche con i soggetti che lo devono esaminare. Al consolidamento del metodo dialettico si salda la messa al bando delle fonti anonime : solo conoscendo l’identità del teste la parte avrà gli strumenti per sferrare un “attacco” efficace alla prova, portando alla luce i profili di inattendibilità che affliggono la deposizione e/o il dichiarante [48]. Tale linea trova il suo fondamento nel principio di open justice, il quale impone che le prove siano «communicated openly» [49], che le udienze siano pubbliche e con libero accesso alla stampa. Si reputa non solo l’imputato ma anche la società civile interessata a che l’innocente sia assolto e il colpevole condannato. Tale concezione discende direttamente dalla dimensione pubblica dell’illecito penale: quando si commette un reato si apre una frattura nella società e i cittadini hanno diritto di assistere alla ricomposizione di quel vulnus nelle aule di giustizia [50]. Sicché, durante l’esame, può essere affrontato il tema della assenza di informazioni del teste, della sua insufficienza di osservazione, di una memoria scadente, della disonestà, dell’interesse personale nella vicenda, dei preconcetti e pregiudizi, del rapporto di amicizia o di ostilità con la parte e di ogni altra questione che attenga alla credibilità, ed entrambe le parti hanno la responsabilità di investigare e accertare i fatti. Sia l’accusa che la difesa hanno il diritto di intervistare i possibili testimoni e solo l’or­gano giudicante può, in casi eccezionali, limitare questa potestà. Il principio è il medesimo anche negli Stati Uniti ove, a norma dell’art. 611 (b) del Federal Rules of Evidence, «Il controesame deve essere [continua ..]


4. La disciplina sul divieto di contatti che precede la deposizione in udienza

Secondo la norma vigente, al preteso fine di favorire la sincerità e facilitare il controllo delle deposizioni, oltre che per un ordinato svolgimento delle prove, ciascun testimone viene esaminato separatamente e, ricalcando l’abrogato art. 448 c.p.p. 1930, «L’esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso della udienza nessuna delle persone citate prima di deporre possa comunicare con alcuna delle parti o con i difensori o consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell’aula di udienza» [51]. L’interrogativo primario è se dall’inosservanza di tale norma derivi una sanzione processuale. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la prescrizione di cui all’art. 149 norme att. c.p.p. non sarebbe assistita da alcuna comminatoria di nullità o inutilizzabilità [52], e incombe al giudice, in sede di successiva valutazione della deposizione, verificare se la rilevata irregolarità del mancato isolamento del testimone durante il dibattimento abbia nociuto alla sua attendibilità [53]. Orbene, è di tutta evidenza che l’intempestiva propalazione, a mezzo stampa o tv, delle dichiarazioni di altri prima della propria neutralizzi la regola di “non-comunicazione” fra testimoni e con altri soggetti processuali, imposta quale garanzia di genuinità dall’art. 149 norme att. c.p.p. e indirettamente confermata dall’art. 21 comma 2 lett. a) e b) reg. es. c.p.p.: se la ratio delle disposizioni menzionate è tesa ad evitare che la conoscenza della versione di altri possa indurre ad alterare la propria, la diffusione dei contenuti dichiarativi resi nelle udienze precedenti – o la circolazione di notizie in tempo reale, magari tramite social network, relativa alle narrazioni intervenute nella stessa udienza – verosimilmente, azzera l’efficacia della disciplina vigente [54].


5. Pubblicità delle udienze e divulgazione dei contenuti: la posizione della Corte edu

Il tema non può prescindere dai rapporti con il diritto d’informazione nel panorama europeo. La collocazione del principio di pubblicità nell’ambito degli elementi costitutivi del giusto processo [55] trova un preciso riscontro testuale nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a mente del quale «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta». Tale formulazione ha consentito alla Corte di Strasburgo di valorizzare appieno le potenzialità applicative del principio de quo, componente strutturale del fair trial, sollecitandone un maggior rispetto entro i confini nazionali [56] soprattutto dopo l’ampliamento degli spazi del procedimento camerale [57]. Secondo l’esegesi elaborata dalla Corte e.d.u., infatti, la pubblicità delle udienze tutela il singolo contro il pericolo di una giustizia segreta, consentendo il controllo dell’opinione pubblica sull’esercizio della funzione giurisdizionale e contestualmente garantendo la fiducia e la credibilità nei confronti degli organi giudiziari. Del resto, parametro di legalità è come l’amministrazione della giustizia viene percepita dal singolo e dalla collettività, assumendo la medesima importanza non solo per come è ma, anche, per come appare: «justice is not only to be done, but to be seen to be done» [58]. Tre sono gli aspetti ritenuti essenziali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul diritto di cronaca [59]: diritto di informazione a tutela della democrazia [60], tutela della privacy [61] e presunzione di innocenza [62]. La giurisprudenza della Cedu sin dagli albori ha riconosciuto ampia tutela ai mass media, consentendo la partecipazione alle vicende giudiziarie in quanto «nulla vieta che esse non possano dar luogo a dibattiti in altre sedi, vuoi sulle riviste specializzate, sulla grande stampa o tra il grande pubblico. Inoltre se è vero che i mezzi di comunicazione non devono superare i limiti stabiliti per la buona amministrazione della giustizia (tra i quali rientra il principio della [continua ..]


6. L’informazione nel processo penale e il rischio di influire sui contenuti narrativi

La cross examination sottopone il teste ad un indubbio stress psicologico e l’assunzione della testimonianza al cospetto di un vasto pubblico può alterare la genuinità della deposizione: potrebbe accadere, ad esempio, che questi «badi più alla resa della sua prestazione di fronte alla platea dei teleutenti che agli obblighi derivanti dall’ufficio ricoperto» [71]. Inoltre, la presenza di telecamere potrebbe «indurre il teste ad ostentare una visibile sicurezza nel narrare fatti dei quali, invece, sicuro non sia; o, per contro, a tradire insicurezza (che è invece solo imbarazzo per la persona estranea) inducendo in errore il giudice circa la sua attendibilità» [72]. Si è obiettato, però, che «proprio il sempre più frequente ricorso alla ripresa televisiva dei processi finirà per diminuire la suggestione del mezzo», così si farà l’abitudine alla “presenza discreta” dell’«obiettivo della telecamera in udienza e questo perderà gran parte del suo potere di condizionamento psicologico» [73]. Non mancano, tra l’altro, coloro che sono favorevoli alle riprese ritenendo che addirittura arrechino “effetti benefici” sul processo andando «a esercitare un più forte autocontrollo e a frenare le abituali tentazioni di abusare del gergo forense e degli artifici verbali incomprensibili al di fuori della cerchia degli iniziati» [74] ; mentre nel giudice potrebbe sorgere «un consistente impulso nel senso della più scrupolosa osservanza delle regole del procedere»: «un corretto esercizio del potere di polizia e di disciplina delle udienze, una puntuale attuazione del principio di oralità, quale metodo di assunzione probatoria reso necessario perché il pubblico possa comprendere il significato del dibattimento, sono alcuni degli esempi adducibili in materia» [75]. In ogni caso non si può escludere il rischio di manipolazioni sui testimoni e l’aggiramento del vincolo di cui all’art. 149 norme att. c.p.p.: il teste ascoltando le deposizioni di altri può agevolmente prepararsi sia con riferimento al thema probandum, sia alle domande che verranno poste, sia alle possibili opposizioni nonché sfuggire ad eventuali responsabilità proprie. Infatti, non di rado, nel [continua ..]


7. Conclusioni

Il controllo democratico sulla giustizia penale rischia, per sorta di eterogenesi dei fini, di ostacolarne spesso una genuina “visibilità” [81], quando non addirittura di adulterarne lo svolgimento [82]. La pubblicità immediata viene sempre più surrogata dalla pubblicità mediata, quella, cioè, veicolata dai media. Si cadrebbe, tuttavia, in errore a ritenere che questa differisca dall’altra soltanto da un punto di vista, per così dire, “quantitativo”, data la sua straordinaria capacità di portare a conoscenza il cittadino di più procedimenti e di più informazioni sul singolo processo [83]. Invero, spesso la “neutralità” della testimonianza viene compromessa dall’inquinamento della divulgazione di notizie non aderenti alle reali emergenze processuali [84]. Al fine di trovare un possibile equilibrio, un primo profilo di indagine concerne il pregiudizio che potrebbe derivare dall’uso di mezzi audiovisivi nel contesto spaziale-temporale dell’udienza [85]. Fino ad oggi, in nessuna delle pronunce che hanno autorizzato la trasmissione in differita  si stabiliscono modalità e tempi della stessa [86]; né, d’altra parte – si osserva – tale potere può essere riconosciuto al giudice: la riconduzione del diritto di cronaca alla libertà di manifestazione del pensiero impedisce qualsivoglia limitazione disposta in via preventiva e non prevista a livello normativo [87]. Un ostacolo ad una possibile soluzione della questione è, infatti, la carenza di idonei poteri in capo al giudice dibattimentale. Questi, in forza dell’art. 147 norme att. c.p.p., è titolare di un potere regolamentare necessariamente circoscritto all’ambito spaziale e temporale dell’udienza, per cui egli può solo disciplinare le modalità, ma non anche i metodi, di diffusione delle riprese autorizzate (dai tempi della differita ai tagli) [88]. Orbene, tra tutti i mezzi di comunicazione di massa, la televisione avendo il “massimo potenziale rappresentativo” rappresenterebbe un “più alto rischio di adulterazione del fenomeno processuale” [89]. Per tale ragione, si dovrebbero prevedere regole tali da escludere la spettacolarizzazione e la mera utilità dell’audience [90], in modo da [continua ..]


NOTE