Il contributo riflette sulla valenza dei premi letterari dell’Italia degli anni trenta all’interno dell’immaginario di Eugenio Montale. Il quale intrattenne con essi un rapporto ambivalente, poiché se da una parte tese a giudicarli con un certo disprezzo – a causa della loro contiguità col sistema culturale fascista, rispetto al quale il poeta rivendicò (quando non esibì) la propria estraneità –, dall’altra non riuscì a disinteressarsene del tutto, sperando, anzi, di poter essere tra i fortunati assegnatari, anche e soprattutto per i vantaggi pecuniari veicolati dai premi, in specie da quelli erogati dalla Reale Accademia d’Italia. Tuttavia, nell’ingranaggio di quella macchina Montale ricoprì sostanzialmente la posizione di outsider, ruolo che lo costrinse a guardare ai concorsi poetici – per così dire – da lontano, e semmai con l’intento di sostenere autori amici come Salvatore Quasimodo e Sandro Penna.
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