Il mio ringraziamento affettuoso a Jean Andreau per il suo prezioso aiuto.
1Si sarebbe facilmente potuto supporre che, nell’ambito delle nostre discipline antichistiche, un terreno d’incontro privilegiato tra storici del mondo antico e romanisti potesse essere costituito dalla storia dell’organizzazione familiare romana. Era ed è infatti pressoché impossibile pervenire ad un’adeguata comprensione della sua natura e funzionamento senza riempire la rappresentazione delle sue strutture istituzionali con la carne viva di una realtà di comportamenti individuali, valori e riferimenti in grado di recuperare la vita concreta di questo complesso sistema di relazioni. D’altra parte una piena comprensione di queste molteplici dinamiche richiedeva e richiede un costante suo inquadramento all’interno delle logiche strutturali determinate dal relativo sistema di norme.
2Debbo dire che questo incontro solo episodicamente e spesso in modo insufficiente parrebbe essersi realizzato. Il che, del resto, almeno in parte deriva proprio dalla lunga storia dei nostri saperi.
3Quando infatti i giuristi medievali e moderni, fondandosi sul grande legato giustinianeo, al diritto romano si rifecero nel costruire il loro mondo, il richiamo alla famiglia romana ebbe ad assumere nuovi e singolari significati pratici. Nella loro faticosa costruzione di una teoria dello stato e della sovranità, essi non si rifecero solo al corpus della legislazione imperiale che aveva definito strutture e funzionamento dell’ordinamento politico romano. L’immagine della famiglia patriarcale romana ed il sistema originario dei vasti poteri concentrati nella figura del pater familias furono egualmente un elemento importante nel loro lavoro ed in quello dei grandi teorici moderni della politica, a partire da Bodin. Ancora Filmer, fondava la sua polemica con l’interpretazione liberale di Locke delle teorie contrattualiste, sull’originaria esistenza del pater e dei suoi poteri.
4Giacché l’immagine forte del patriarca, derivata in gran parte dal diritto romano (oltre che da un altro riferimento centrale per la cultura dell’epoca quale era l’Antico Testamento), fu un riferimento essenziale nella costruzione del concetto di sovranità. I suoi poteri infatti, diversamente da quanto avveniva per i poteri conferiti dall’ordinamento ai singoli ‘privati’, non erano esercitati nel suo interesse individuale, ma a favore e nell’interesse dei destinatari di essi. Come nel caso del rapporto tra governante e governati, il carattere originario e la stessa ampiezza della potestas del pater erano infatti finalizzati ad assicurare la vita dell’organismo così governato ed erano quindi orientati al benessere ed all’interesse dei loro destinatari.
5Il paradosso fu che quando, nel corso del Settecento, la moderna concezione dello stato venne a saldarsi compiutamente con le teorie contrattualiste, ciò non segnò la fine della particolare rilevanza della famiglia patriarcale romana nel pensiero europeo. Tutt’altro.
- 1 Questi aspetti sono stati indagati a suo tempo in Capogrossi, 1969, Cap. I. Su di essi sono poi tor (...)
- 2 Morgan, 1877, p. 475, su cui v. Saller, 1997, p. 13.
6Giacché la reazione storicista che prese consistenza agli inizi del secolo successivo, sfociata poi progressivamente in quell’ampio e sovente indiscriminato “ trend ” evoluzionista che dominò anche la cultura storiografica della seconda metà dell’Ottocento, nuovamente pose al centro della sua riflessione sullo sviluppo delle società antiche la famiglia patriarcale romana. Questa infatti fu individuata come il punto di partenza di quel processo evolutivo che, attraverso la formazione di organismi intermedi da essa derivati, quali le gentes, sarebbe sfociato nella formazione della forma statale propria dell’antichità classica: la città-stato. Codesta elaborazione attraversa, come ben sappiamo, tutta la storiografia europea del xix secolo. Con varie formulazioni e secondo prospettive diverse questo schema di base, che evocava, se non esplicitamente assumeva, la sostanziale identità di natura e funzioni della famiglia originaria e dello stato, venne così ad imporsi tanto nel mondo germanico, soprattutto ad opera di Jhering, che nel mondo anglosassone con Maine ed in Francia con Fustel de Coulanges. Fu una fioritura notevole di idee e di grandi ipotesi storiografiche che si sviluppò, nell’ambito dell’intera cultura europea a partire dalla metà del secolo, articolandosi in una feconda molteplicità di ipotesi e dibattiti. Essa si concluse abbastanza rapidamente a cavallo del secolo, non prima, tuttavia, che si riproponesse ancora in un altro contesto, in Italia, con le teorie formulate da Pietro Bonfante1. Uno dei punti di forza di questo insieme di teorie era costituito dall’ ” excess of domination ”, com’è stato felicemente definito da Lewis H. Morgan, il ruolo del pater rispetto alle mere esigenze funzionali, andando al di là dei “ bounds of reason ”2. Un carattere che avrebbe riflesso, secondo tali idee, il ruolo essenzialmente politico e statale dell’organismo da lui governato. In tal modo, ancora una volta storia della famiglia e teorie della politica venivano ad intrecciarsi.
7In questa stagione la strettissima saldatura tra l’opera e le idee degli storici dell’antichità ed i romanisti dette luogo ad un corpus dottrinale sostanzialmente unitario. In qualche modo i primi si erano spostati sul terreno proprio dei giuristi, ponendo in primo piano temi essenzialmente di storia istituzionale. Erano infatti i problemi di struttura e di definizione giuridica, a partire dalla classificazione dei poteri del pater e dall’interpretazione del loro contenuto e della loro finalità, a costituire l’oggetto dell’interesse largamente preminente degli studiosi. I problemi relativi al concreto funzionamento dell’intero sistema nella pratica restavano così affatto al margine dell’intero dibattito.
8Con il nuovo secolo queste tendenze, insieme al più generale trend evoluzionista in cui s’iscrivevano, entrarono rapidamente in crisi. Tuttavia, all’interno dei nostri studi romanistici, le antiche prospettive sulla famiglia romana conobbero un sintomatico attardamento. Questo è vero non solo per i diretti allievi ed eredi del pensiero bonfantiano, come Pietro De Francisci, o per coloro che, come Fernand De Visscher, avevano cercato di riprenderne il nucleo centrale. Anche autori come Vincenzo Arangio Ruiz o Giuseppe Ignazio Luzzatto, orientati decisamente verso altre interpretazione del processo di formazione degli organismi cittadini, erano comunque restati all’interno di una visuale incentrata sul problema delle c.d. ‘formazioni preciviche’ e del loro rapporto evolutivo con la città. Ed agli schemi ottocenteschi, seppure in contesti e secondo prospettive sempre più differenziate tra loro, si riferì gran parte della produzione scientifica ancora sino quasi agli ultimi decenni del Novecento. Da Volterra e Gaudemet, Sachers, Wieacker e Kaser sino ai maggiori esponenti della generazione immediatamente successiva, quali Francesco De Martino e Bernardo Albanese noi vediamo riemergere continuamente gli antichi schemi ottocenteschi, seppure quasi sempre modificati, reinterpretati e, talora almeno, deformati. Insomma non credo sia erroneo affermare che, quasi tutto il secolo ormai alle nostre spalle, sia stato segnato dal proseguimento dell’antica problematica, in un dibattito ormai distaccato degli orizzonti e dell’ambizione della precedente stagione evoluzionista, ma prigioniero ancora degli schemi allora elaborati.
- 3 Capogrossi, 1969; Rabello, 1979.
9Del resto una vera rottura non appare neppure quando si cercò di scuoterne le fondamenta. Ancora negli anni ’70, il mio primo volume sulla Struttura della proprietà, pur in funzione radical-mente critica delle teorie otto – e novecentesche, ed il successivo libro di Rabello sui poteri del pater familias romano appaiono in notevole misura interni a questi antichi orizzonti3.
10Allora tuttavia intervenne un notevole mutamento, ma per coglierlo ci si deve staccare dall’Italia, che nel Novecento, probabilmente, era divenuta la sede principale del dibattito sulla famiglia romana, e volgerci alla Francia. Qui infatti, da gran tempo invero, sussistevano le condizioni per quell’incontro tra giuristi e storici di cui parlavo in apertura di discorso. In alcuni tra i più autorevoli romanisti di questo paese, in effetti, era maturato un singolare atteggiamento d’apertura, già ben evidente nell’opera di Huvelin e ribadito poi in modo quasi sistematico da altri due grandi figure di ricercatori quali Henry Lévy Bruhl e Pierre Noailles, seguite poi dalla non meno ricca personalità di André Magdelain e da Jean Gaudemet, cui va aggiunto, seppure in un campo di ricerche particolare, il nome non meno illustre di Gabriel Le Bras. In tutti costoro, seppure in forme diverse, era evidente il forte rapporto con le notevoli esperienze d’oltralpe in ambito sociologico ed antropologico, a partire da Durkheim, L. Lévy-Brhul e Mauss ed il riferimento all’esperienza dell’Année Sociologique, a sua volta così attenta agli aspetti giuridici. La ricchezza dei risultati così conseguiti confermava il fatto che, come per la storia romana arcaica, un’adeguata comprensione della famiglia romana non poteva essere colta restando nel chiuso della pur raffinata esegesi romanistica.
11È quanto appunto mostrerà l’opera del giovane Michel Humbert, un allievo di Gaudemet, apparsa nel 1972, inserendosi appieno in quel filone che ho ora richiamato. Il tema trattato favoriva, se non necessitava l’impiego di un doppio registro analitico, tale da cogliere nel corso della storia romana, accanto alle questioni meramente tecnico-legali, gli aspetti più sociologici dei comportamenti dei vari gruppi sociali. Un compito assolto egregiamente dallo studioso francese, con la ricostruzione di un ampio panorama fondato sull’utilizzazione di fonti documentarie che trascendevano largamente, pur ricomprendendolo, il settore strettamente giuridico e la tradizionale miniera costituita dal Corpus iuris civilis. Era un modo di studiare diverso da quelle forme un po’ conservative proprie della romanistica italo-tedesca fondata sulla preminente, se non esclusiva, attenzione agli aspetti esegetico-giuridici.
- 4 Si v. un’interessante annotazione in Dixon, 1992, nt. 16, p. 195.
12Fu l’inizio di una vivace stagione4 che vide la fioritura di un insieme di saggi, ad opera di autori di diversa formazione e variamente collocati. Il dato ad essi comune è il vivificante intreccio di problemi e di metodi di ricerca, dove l’analisi storica e giuridica appariva fecondata dalle aperture verso le scienze sociali ed antropologiche. Vengono immediatamente alla memoria, insieme al nome di un grande protagonista dei nostri studi, sempre molto attento agli aspetti giuridici, Paul Veyne, quello di esponenti di una generazione più giovane, da Mireille Corbier a Yan Thomas.
- 5 Saggio preceduto da Thomas, 1981, p. 633 ss. Ma si v. anche gli altri contributi di questo autore: (...)
- 6 Thomas, 1984, p. 499 ss.
13Particolarmente importante appare il ruolo svolto da quest’ultimo: del vivace e irrequieto studioso che ricordiamo con affetto vanno ricordati alcuni interventi fondamentali, primo tra essi, quello sul cuore del sistema dei poteri del pater familias. Mi riferisco al suo saggio sulla Vitae necisque potestas, nel 1984, in un volume dell’ ‘Ecole Française de Rome’, Du chatiment dans la cité5. Come talora succedeva al compianto autore, così ricco di fantasia storiografica e capace di singolari accosta-menti, in esso egli aveva sviluppato una tesi tanto suggestiva quanto improbabile. Che tuttavia mi aveva colpito, lo ricordo bene, perche il suo nucleo centrale l’avvicinava singolarmente all’impostazione di Bonfante, che, per l’età delle origini cittadine, aveva tracciato una stretta relazione tra la sfera del diritto pubblico e quella del diritto privato, almeno per quanto concerneva la sfera familiare. In verità alcuni nodi strutturali sembravano riproporsi anche in contesti assolutamente diversi. Lo stesso Thomas aveva ripreso uno spunto di Veyne con cui s’apriva una nuova prospettiva delle dinamiche interne al gruppo familiare, associata ad una possibile forte tensione tra generazioni, sino appunto al delitto ed alla repressione violenta. Il potere del patriarca appariva così sotto una luce diversa e non priva di fragilità6.
14Nella seconda metà degli anni ’80, prese poi consistenza una vasta ricerca collettiva, in cui programmaticamente erano stati coinvolti specialismi diversi, dai giuristi agli antropologi, dagli storici ai sociologi, coordinata da Jean Andreau e Hinnerk Bruhns e che si sostanziò in una tavola rotonda tenutasi a Parigi nel 1986. I nomi di questi due amici già di per sé sono significativi, perché ci riportano al loro precoce interessamento all’opera di Weber ed ai suoi riflessi sulla storiografia antica. Sono tutti aspetti che servono a sottolineare la modernità e la libertà dell’approccio così programmato, ed a spiegare l’importanza dei risultati così conseguiti. Pubblicati nel libro dedicato alla Parenté et stratégies familiales, nella collana dell’ Ecole Française, essi erano destinati a costituire un punto di riferimento costante e durevole nei nostri studi, ancora sino ai nostri giorni.
15Con quest’opera appare ormai definito un mutamento di prospettiva rispetto all’approccio tradizionale dei romanisti. In essa era infatti ormai evidente come i problemi di struttura dell’ordinamento familiare romano, in gran parte esauriti dalla definizione del sistema di poteri su cui si fondavano le diverse relazioni familiari, sinora al centro dell’attenzione, avessero perso l’antica centralità. Sebbene ancora i saggi di Corbier, Thomas e Dumont presenti nel libro in questione offrissero nuovo materiale di riflessione, a proposito del pater familias e dei suoi poteri, altri erano i temi privilegiati, altri gli interrogativi posti al materiale storiografico. Era un nuovo e diverso approccio, in effetti, che veniva così delineandosi, con una maggiore attenzione per i comportamenti concreti e le motivazioni dei vari protagonisti della vita familiare.
16La cooperazione tra specialismi diversi, che era alla base di quest’opera, a sua volta, esprimeva il mutato orizzonte di questa generazione di studiosi, il cui lavoro di ricerca aveva ormai recepito le grandi rivoluzioni intervenute nelle nostre società a partire dal secondo dopoguerra. Una più ricca sensibilità storiografica, l’interesse per nuovi campi d’indagine e per l’impiego di strumenti analitici mutuati anche da altre discipline ne caratterizzavano la fisionomia. Anche in questo campo s’era ormai affermato il processo di metabolizzazione avviato in tutti i nostri paesi, nei metodi e nelle tematiche della storiografia antichistica, dei nuovi orizzonti intervenuti nei vari settori delle scienze sociali, con il recupero di problematiche sino ad allora trascurate. Ne derivò, in questo particolare ambito tematico, un quadro più complesso di quanto non fossero le tradizionali trattazioni legate alla mera definizione legale di poteri e doveri. Si aprivano così altri i filoni di ricerca, dove di volta in volta s’avvertiva un’attenzione per aspetti mai precedentemente affrontati: dai dati demografici e sociologici, alle mentalità, alle situazioni subalterne o senza storia (i fanciulli, le donne, gli schiavi etc.). Ed in questi ultimi campi d’indagine si veniva anche esercitando la pressione di nuovi punti di vista e di nuove forze sociali: dal femminismo all’influenza, massima allora, magari in negativo, del pensiero marxista, soprattutto sulla storiografia dell’Europa continentale.
17Quest’ultimo aspetto ebbe riscontri notevoli nell’enorme crescita d’interesse per la schiavitù antica. Ma per i nostri specifici problemi fu più interessante, forse, il riflesso che s’ebbe nell’esplorazione di altre forme di dipendenza: mi riferisco in particolare l’approccio complesso ed articolato che, nei riguardi di quel gruppo sociale così caratteristico costituito dai clienti, su cui si concentrò l’interesse di molti, tra cui va ricordato in particolare Gérard Boulvert, uno storico del diritto chiaramente influenzato dagli schemi marxisti.
- 7 La citazione delle opere più rappresentative di Franciosi, 1995, 1999, e 2003, in questo settore di (...)
- 8 In particolare v. Cantarella, 1981; 1988 e 1996.
18È abbastanza comprensibile che tutto ciò si riflettesse anche su quelli che chiamerei gli ‘equilibri geografico-culturali’. Evidente era infatti la battuta d’arresto o, quanto meno, il rallentamento che caratterizzò, a partire dai tardi anni ’70, le aree scientifiche più stabilmente strutturate sui vecchi – ed isolati – campi disciplinari. La romanistica tradizionale, con i suoi consolidati punti di forza, nei paesi di lingua tedesca, in Italia ed in Olanda, oltre che in Spagna ed in alcuni paesi dell’Europa orientale, restava relativamente al margine di queste nuove prospettive. L’impatto delle nuove problematiche e metodologie fu infatti minore, in questi paesi, dove pesava maggiormente un consolidato statuto disciplinare ed epistemologico, esaltato dallo stesso prestigio scientifico così conseguito. Certo, è dato di cogliere qualche eccezione: le più significative, forse, sono rappresentate, oltre che dalle stimolanti ed erudite indagini di Carlo Castello, ormai abbastanza lontane nel tempo, dalla lunga esplorazione effettuata da Gennaro Franciosi della storia della famiglia romana arcaica e degli ordinamenti gentilizi, nettamente ispirata agli schemi marxiani. Malgrado l’impegno dell’autore e la ricchezza delle sue indagini, debbo confessare di essere sempre restato abbastanza perplesso di fronte alla metodologia in esse dispiegata, dove il sistema di riferimenti quasi mai mi sembra trascendere l’universo concettuale di stampo ottocentesco, secondo logiche governate da un rigido determinismo. Non può meravigliare pertanto che i modelli ricostruttivi cui perviene l’autore siano marcati da un franco, ma anche un po’ ingenuo, evoluzionismo che ci riporta a Morgan e ad Engels7. Più interessanti e ricche di apertura appaiono invece le indagini di Eva Cantarella, che non a caso è stato ed è tuttora forse uno dei nomi che più ha circolato anche al di fuori del chiuso delle nostre discipline specialistiche8.
19È dunque alla storiografia anglosassone che dobbiamo rivolgerci per cogliere appieno quel rinnovamento indotto anche, come già accennavo, dall’attenzione per gli incisivi sviluppi delle scienze sociali intervenuti sin dalla fine dell’Ottocento. Era una ventata di nuovi problemi e di nuovi modi d’interrogarsi che così s’introduceva, insieme ad una maggiore dimestichezza con i fenomeni innovativi intervenuti nelle società contemporanee e che avevano nel capitalismo anglo-americano il loro fulcro centrale (specie dopo il tramonto del mito sovietico a partire dalla metà degli anni ’80). La maggior libertà dai vincoli, oltre che dal rigore, che un’antica tradizione faceva invece pesare sullo studio del diritto romano rendeva possibile, se non agevolava una più libera esplorazione di nuove ipotesi, idee ed orizzonti.
20Già negli anni ’70 erano apparsi i primi segnali in tal senso, soprattutto ad opera di una studiosa d’oltre Atlantico, Susan Treggiari, che partendo dalla sistematica analisi dei complessi rapporti tra patroni e liberti, s’era addentrata ad esplorare vari aspetti dell’universo femminile e familiare romano. Inoltre è almeno possibile sospettare che il vasto lavoro di revisione delle logiche costitutive di tanta parte della storiografia del mondo classico avviata da Moses Finley si riflettesse con efficacia particolare in questo settore di studi. Non a caso alcuni degli studiosi intervenuti in modo più incisivo in questo settore di studi appartengono direttamente alla sua scuola. Questo è il caso anzitutto di Peter Garnsey, il cui classico contributo su Social Status and Legal Privilege in the Roman Empire, investiva più aspetti collegati al sistema familiare romano. Al suo nome vanno aggiunti quelli di Shaw e di Saller che, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso sono stati tra i principali protagonisti di questa vicenda, con il sempre più evidente slit tamento del suo asse focale rispetto alla fase precedente. Va anche aggiunto che, per quest’ultimo studioso, oltre alla indubbia influenza di Finley, nella sua capacità di modificare in modo anche radicale punti di vista e impostazioni tradizionali nell’indagine storiografica, giocasse con ogni probabilità l’influsso esercitato a Cambrdige da John Crook: un acuto storico inglese, a suo tempo avventuratosi con successo anche nei meandri del diritto romano, della cui notevole personalità di recente lo stesso Garnsey ha tracciato un vivido ritratto9. È infine d’obbligo la menzione dei lavori di Suzanne Dixon sulla condizione femminile all’interno dei rapporti matrimoniali. È questo un nome importante nel settore di studi qui considerato e che tornerà nel corso di queste pagine.
- 10 Anche se non mancano aperture innovative come il parallelismo tra la patria potestas e l’altro rapp (...)
21Così come non meno rilevante appare il lungo lavoro di ricerca allora avviato da una studiosa che potremo egualmente seguire anche negli anni successivi: Beryl Rawson. Già nel 1986 era apparsa una raccolta di studi, da lei curata, sulla Family in Ancient Rome. Essi costituivano il risultato del precedente seminario svoltosi nell’Università di Camberra, nel quadro di un progetto di ricerca destinato ad avere in seguito ulteriori e significativi sviluppi. Questo libro, a mio avviso, costituisce un interessante spartiacque tra le nuove prospettive di ricerca ed un’impostazione più tradizionale. Rientrano in quest’ultima prospettiva i temi affrontati nel saggio di Lacey, o le linee adombrate nelle pagine introduttive della stessa Rawson, incentrati sulla figura del pater ed i poteri ad essa connessi10. La maggior parte dei contributi specifici – quelli di Crook, Dixon, Weaver, e Rawson – appare ormai diversamente orientata, concentrandosi sull’effettività delle singole relazioni interpersonali e nell’analisi delle peculiari posizioni dei vari protagonisti della vita familiare: anzitutto le donne, ma anche i figli e gli infanti. La nuova linea di tendenza che ne emergeva si lasciava comunque alle spalle il topos della ‘famiglia patriarcale’, caratterizzata dagli aspetti potestativi a base delle relazioni familiari. Questo riferimento, che aveva dominato i nostri studi, era rimesso in discussione, così come era ridimensionato il peso dei singoli meccanismi legali. In tal modo aveva inizio un processo mirato a ‘normalizzare’ il significato della famiglia romana, la cui eccezionalità, invece era stata rivendicata da storici e giuristi come struttura portante di un sistema patriarcale, sulla base di schemi di stampo ottocentesco. A questo modello veniva infatti contrapposta un’interpretazione di essa esplicitamente ispirata alle forme storicamente meglio definite ed a noi più vicine di famiglia nucleare.
22Il ridimensionamento di quell’eccezionalità che gli stessi Romani avevano visto nella loro organizzazione familiare avvenne attraverso il pur giustificato riassorbimento di tale modello all’interno di una più generale tipologia di organizzazioni familiari proprie di tutte le società precapitalistiche. In tal modo divenne però possibile l’ulteriore modernizzazione della vecchia famiglia patriarcale romana con una nuova centralità riconosciuta alla forma nucleare che ho già ricordato. L’operazione si venne ulteriormente sviluppando nel sostanziale rispetto dei criteri metodologici correnti: che poi si privilegiasse un insieme di fonti documentarie rispetto ad altre, non solo era una realtà di fatto e quasi ovvia, ma ineriva agli stessi caratteri propri dei vari tipi d’indagine di volta in volta privilegiati. Facendo leva sugli elementi di affettività, sulla precoce emancipazione intervenuta in Roma nel regime giuridico delle donne, sulla relativa autonomia dei subordinati con la conseguente limitazione di fatto della potestas del pater, si cancellava quell’invalicabile distanza tra il mondo delle origini e la posizione del moderno osservatore che era stata postulata soprattutto dalla cultura evoluzionistica ottocentesca. Dove, come ricorderemo, la contrapposizione tra la struttura familiare antica e la famiglia moderna, aveva corrisposto alla particolare connotazione e funzione latamente ‘politica’ di tale organismo.
- 11 Cfr. soprattutto Watson, 1967, 1975, e 1991.
23Si è già accennato come la problematica tradizionale, su cui s’era impegnata la storiografia giuridica, fosse stata da sempre dominata dalle logiche definitorie dei sistemi familiari romani. Interessata anzitutto alle tipologie ed ai rapporti di potere e impegnata pertanto ad analizzare i contenuti e la disciplina delle reciproche relazioni esistenti all’interno del gruppo. In questa nuova fase, tuttavia, tali problemi di struttura, al centro di questo tipo di ricostruzione, vennero progressivamente a dissolversi: era ciò, del resto, che s’era già potuto avvertire nelle ricerche francesi, grazie a quell’approccio interdisciplinare cui ho fatto in precedenza riferimento. Ora lo spostamento appare ancora più netto, essendo poste in primo piano, dagli studiosi anglosassoni, questioni di funzionamento e le dinamiche interpersonali, oggetto di analisi empiricamente fondate. Solo i lavori di Watson, debbo dire, pur destinati a restare un importante riferimento anche in seguito, restarono solidamente agganciati alla prospettiva più tradizionale. Ma non a caso essi vertevano essenzialmente sugli istituti giuridici romani11.
24V’era però un pericolo che si celava al di sotto di queste innovazioni prospettiche e mutamenti di sensibilità, di cui ci saremmo resi conto solo in seguito. S’avviò allora, infatti, la progressiva divaricazione di percorsi scientifici che sempre meno furono capaci o interessati a confrontarsi tra loro. Da un lato i giuristi continuarono ad occuparsi dei loro problemi, circoscrivendo la loro attenzione quasi esclusivamente ai testi dei giuristi romani, mentre gli storici finirono col porsi quasi esclusivamente questioni di analisi e descrizione di processi sociali, insistendo sulle fonti più direttamente connesse a tale realtà. Con una conseguenza negativa, almeno a mio giudizio: precisamente che questa legittima reinterpretazione di una sistema sociale strappato ad un’analisi prevalentemente formale né ha costretto i giuristi a ripensare globalmente al tipo d’informazioni ricavate dalla vasta documentazione giuridica, né ha indotto gli storici a misurarsi con i contenuti tecnici di questa, verificando la forza delle loro ricostruzioni anche alla luce della grande quantità d’informazioni relative alla vita pratica che da essa possono e debbono ricavarsi.
25Divenne così possibile, ad es., recuperare la nozione di parentela, in ambito romano, appiattendola sulle categorie ed i paradigmi moderni, finendo col trascurare quasi completamente quelle logiche agnatizie che appaiono comunque dominare per molto tempo gli assetti strutturali della famiglia romana. E del resto, è dato di cogliere anche una certa tendenza a svalutare i processi trasformativi, pur così chiaramente attestati a livello delle strutture e del disegno istituzionale. L’idea stessa che vi fosse un’ “ evoluzione ” dei sistemi più ‘avanzati’ dalle forme familiari ‘più antiche’, appariva sospetta. Essa infatti si scontrava con un sempre più netto preconcetto antievoluzionistico su cui m’intratterrò più avanti.
26Se la parentela agnatizia, pur riscontrabile in altre società, era lontanissima dai moderni tipi di relazione, fu sufficiente spostare l’attenzione verso altri aspetti perché mutasse l’intero quadro problematico. S’iniziò dunque col far leva su un insieme d’indicazioni, pur presenti, com’è ovvio, in molti testi antichi, circa la presenza e l’importanza delle relazioni tra consanguinei, indipendentemente o al di fuori dei rapporti agnatizi. Si dimostrò poi che questi diversi tipi di rapporti, quanto al contenuto affettivo, al significato sociale, alla rilevanza anche politica per i ceti superiori non potevano essere collocati in una scala gerarchica, confondendosi al loro interno le forme agnatizie, senza che vi avessero particolare rilievo. Del resto queste conclusioni non contraddicevano radicalmente a quanto poteva ricavarsi dalle fonti giuridiche. Giacché anche molte di esse si riferivano ad un’età relativamente tarda, tra i sec. a.C. e ii sec. d.C.: quando anche il sistema giuridico romano s’era esteso a dare una certa rilevanza anche alle forme di parentela per linea femminile: la cognatio.
27Naturalmente da questa diversa composizione del quadro non erano deducibili immediate conseguenze: sarebbe occorso confrontare tra loro più serie di dati, in parte contrastanti e non omogenei, per cercare di pervenire ad un’interpretazione che di essi tenesse conto in modo adeguato. Ciò non fu fatto, come non s’approfondì l’ipotesi di una dinamica nel tempo delle istituzioni familiari romane: ciò su cui gli sviluppi dell’insieme dei meccanismi giuridici nel corso della storia repubblicana ed alto imperiale gettavano una luce molto forte e difficilmente contestabile. Al contrario, da parte di molti storici, s’ebbe una sostanziale svalutazione della diversità di piani cronologici con la proiezione dei modelli tardo-repubblicani verso la prima storia di Roma. A ciò s’accompagnava l’accresciuta rilevanza dei risultati conseguiti mediante l’applicazione di nuovi metodi d’analisi e lo sfruttamento di altri sistemi documentari, sinora largamente sottovalutati dalla storiografia tradizionale, e in particolare dai romanisti.
- 12 Saller-Shaw, 1984, p. 124 ss.
28Una precoce ed importante testimonianza in tal senso è costituita da un saggio di Brent D. Shaw e Richard Saller, apparso nell’’84. Esso, fondandosi su una sistematica disamina di un vasto corpo d’iscrizioni funerarie romane, metteva in ampia evidenza la pressoché esclusiva rilevanza, in esse, delle relazioni parentali esistenti all’interno della famiglia nucleare12. Sembrava così, sulla base di una formidabile documentazione ricavata dalla vita pratica, che l’antica famiglia ‘patriarcale’ romana, immaginata dai giuristi, si dissolvesse nel nulla.
- 13 Cosi e richiamato in Martin, 1996, p. 40, che a sua volta si rifaceva testualmente ad una considera (...)
29Questo saggio costituiva un momento rilevante, ma tutt’altro che isolato nel flusso di nuovi studi che prendeva allora consistenza e che contribuì a suscitare l’idea di un nuovo e generalizzato “ consensus ”, sulla famiglia romana come “ a nuclear family, like our own ”13. Un altro momento importante, in tal senso, fu costituito dalla pubblicazione, alcuni anni dopo, del più organico, se non il più significativo, contributo di Suzanne Dixon sulla Roman Family, in cui si confermava questa modificata visione della famiglia romana.
- 14 Cfr. Dixon, 1992, p. 161.
30Essa infatti cessava di apparire un blocco compatto, interpretato secondo schemi uniformi, fortemente influenzati dalle logiche giuridiche, disarticolandosi piuttosto in una molteplicità di forme legate allo status ed all’appartenenza di ceto, agli orientamenti e tradizioni regionali e segnate poi dalle trasformazioni intervenute nel corso del tempo. Una pluralità di riferimenti che tuttavia, malgrado la cautela e gli espliciti “ warnings ”, finiva col ribadire il sostanziale accostamento della famiglia antica alla moderna14. Era un esempio significativo di quelle tendenze cui ho fatto riferimento nel precedente paragrafo.
- 15 È interessante, sotto questo profilo, come, nel suo lavoro, Dixon mettesse giustamente a fuoco, non (...)
- 16 È un aspetto che ritroviamo, in modo che a me sembra esemplare, in un passaggio nodale del libro qu (...)
31Una conseguenza forse inevitabile di questo spostamento di piani appare peraltro la crescente difficoltà a riconoscere il peso della documentazione giuridica. E questo, si badi, non tanto per una deliberata volontà di svalutazione di un sistema di fonti, quanto per la crescente difficoltà ad afferrare la logica propria dei meccanismi giuridici, sino a perdere di vista il loro effettivo significato e le loro interrelazioni15. Ne derivò, tra l altro, il sostanziale disinteresse per la possibile distanza tra comportamenti pratici e le regole dello stretto diritto: una questione centrale proprio per gli storici del diritto, del resto da loro stessi troppo spesso sottovalutata. Un altro limite che, a mio avviso, caratterizzava questi nuovi orientamenti è costituito dalla progressiva perdita d interesse per la ricerca delle possibili trasformazioni interne dei rapporti familiari. Ma a proposito di questo aspetto ho già ricordato come pesasse la sempre più accentuata preoccupazione di evitare ogni caduta di tipo evoluzionistico16. Il che tuttavia, rischiava di sfociare in una visione relativamente statica del sistema familiare romano.
- 17 È vero, in effetti, che le relazioni parentali e le strutture familiari romane sono state ampiament (...)
32Il mancato confronto tra i nuovi orientamenti e punti di vista e la precedente tradizione di studi, a sua volta, comportò poi una perdita di memoria, piuttosto significativa. Il vasto e complesso dibattito sulla famiglia romana che aveva attraversato tutta la storiografia ottocentesca, finì infatti con l essere sostanzialmente travisato, anche per la difficoltà di coglierne gli aspetti più strettamente legati all interpretazione delle forme giuridiche. Ciò che non aiutava certo a seguire le logiche di una problematica di cui gli studiosi del diritto romano erano stati gli indiscutibili protagonisti, da Jhering a Maine, sino al nostro Bonfante. Del resto, anche nel caso degli storici puri come Fustel de Coulanges, quella stagione era stata caratterizzata da un dialogo tra discipline particolarmente felice, dove la formazione giuridica di Bachofen, McLennan o di Morgan, efficacemente si fondeva e confondeva con altri punti di vista ed altre sensibilità. Sappiamo bene come, allora, anche attraverso queste specifiche vicende, si venisse formando una vera e propria scienza nuova, con una singolare reinvenzione delle radici e della natura del dibattito storiografico sulla famiglia romana17.
- 18 Con quella che a me sembra una singolare deformazione, Dixon individua come punto di riferimento ce (...)
- 19 Non intendo in questa sede tentare una rivalutazione dei filoni centrali della storiografia antichi (...)
- 20 Mi riferisco anzitutto allo splendido panorama di storia del pensiero antropologico tracciato da St (...)
33In effetti il tentativo della Roman Family di Dixon di riallacciarsi alle antiche idee ottocentesche finiva con l evidenziare un sostanziale fraintendimento, proponendo una genealogia deformata. Rompendo l’indubbia linea di continuità che la storiografia novecentesca, sulla famiglia romana, aveva con il secolo precedente, l’autrice finiva col perdere di vista i veri nodi problematici che, a torto od a ragione, gli autori dell’Ottocento si erano venuti ponendo18. Né poteva essere diversamente, se si considera come l’idea di diversità e la profondità di campo tanto sottolineata da tali storici era pressoché capovolta nella sua visuale, dominata dalla pervasiva tendenza a ricondurre ai nostri orizzonti una storia diversa e passata, tanto da sottrarla allo stesso contesto in cui essa s’era realizzata19. Questo non solo appariva un regresso rispetto ai livelli di conoscenza di questa pagina di storia del pensiero moderno su cui, ormai, si disponeva di una conoscenza notevole anche grazie al lavoro storiografico di prim’ordine realizzatosi proprio in ambito anglosassone20. Era pressoché inevitabile, infatti, la perdita di consapevolezza della complessità delle ascendenze ottocentesche della vasta problematica sulla famiglia romana finisse che col banalizzare l’intera tradizione di studi della romanistica europea, ridotta a poca cosa. Oltre alla citazione di Buckland, e di Watson, al massimo si può incontrare talora un riferimento alla sintesi costituita dal Römische Privatrecht di Kaser, ma nulla più. Ma, soprattutto, questo è il vero quesito che io mi pongo, la nuova centralità riconosciuta a L.H. Morgan – non alla sua grande opera sui sistemi di consanguineità, si basi, ma alla vulgata evoluzionista dell’Ancienty Society rende almeno legittimo il dubbio che sia il riflesso di una più generalizzata tendenza. In altre parole che la storiografia contemporanea e non solo la Dixon sia venuta progressivamente dimenticando il forte radicalmente europeo del dibattito ottocentesco e, con esso, la centralità e la complessità delle analisi giuridiche che lo avevano accompagnato.
- 21 Dixon, 1992, p. 122; 131; 145 ss.
- 22 Dixon, 1992, p. 47 ss.
34Malgrado questi aspetti, la Roman Family mostrava ancora significative incertezze, con la compresenza dei nuovi schemi, accanto a quelli più tradizionali. Lo si avverte in modo esemplare nelle pagine relative al pater familias, dove il vecchio modello giuridico non era negato, solo temperato dall’insistenza sugli aspetti comportamentali e sul peso delle situazioni di fatto21. Il ridimensionamento interveniva dunque sul fatto, piuttosto che sulla rappresentazione giuridica, che restava immutata: sino al potere di vita e di morte sui figli, od all’altra facoltà del pater di poterli abbandonare alla nascita22. Per questo tenderei a individuare nel libro di Saller, Patriarchy, property and death in the Roman family, apparso due anni dopo, nel 1994, il momento della piena affermazione della nuova concezione della famiglia romana. Con esso infatti si faceva un deciso passo in avanti nella liquidazione dell’onnipotenza paterna come fondamento e carattere essenziale della famiglia romana.
35In effetti questa densa ricerca sembrò assicurare una più ampia e solida base documentaria a quel ‘consensus’ intorno alla nuova interpretazione della famiglia romana cui facevo poc’anzi riferimento. Il suo punto d’attacco si volgeva nuovamente al quadro demografico della società romana, ricostruito sulla base di una vasta utilizzazione della documentazione funeraria, in modo da cogliere le tendenze matrimoniali dei Romani e, conseguentemente, la concreta fisionomia del sistema familiare. Ne risultava confermato l’ormai chiaro tramonto della tradizionale immagine del patriarca al vertice del sistema familiare romano: troppo scarsi sarebbero stati infatti, in base a tali risultanze, i casi di famiglie comprensive di più generazioni sottoposte all’autorità di un pater tuttora vivente. Il matrimonio relativamente tardivo dei maschi avrebbe comportato infatti una generalizzata mortalità dei padri in un momento in cui i figli nati da tale matrimonio non fossero ancora in età nuziale, rendendo abbastanza rari i casi di nipoti cresciuti sotto la stessa casa dell’avo.
36Si concludeva così la riconsiderazione critica della “ standard story of evolution from severely authoritarian, extended family to the affectionate, simple family ”. Sotto la lente di una più accorta ed empirica riconsiderazione dei fatti materiali, pareva infatti dissolversi l’antico schema fondato sull’idea di un “ evolutionary period ” antecedente all’età in cui “ spouses, parents and children learned to love each other ”23.
- 24 Del resto a suscitare un campanello d’allarme sarebbe sufficiente ricordare come anche l’asserita p (...)
37Tuttavia proprio questa chiarificazione, a sua volta, rendeva più visibili a mio giudizio, alcuni elementi di debolezza del nuovo schema ricostruttivo. Anzitutto la netta contrapposizione tra ‘autorità-affettività’ cui s’era richiamato lo studioso statunitense poteva suscitare quale dubbio. Non è di per sé ovvio che l’ ” affection between spouses or between parents and children ” e la struttura patriarcale ed autoritaria della grande famiglia agnatizia si escludano reciprocamente24: o per lo meno questo non lo si può inferire da quelle fonti antiche particolarmente prese in considerazione dallo stesso Saller. In esse infatti si richiama una serie di episodi di punizioni straordinariamente severe irrogate dai padri ai figli, nel corso della storia alto-repubblicana.
38Ora è interessante che proprio la diversa interpretazione di tali accadimenti, sostenuta da Saller, tenda piuttosto a smentire la troppo schematica opposizione di autorità ed affetto. Egli infatti riconduce giustamente il fondamento di tali sanzioni all’esercizio, da parte di questi padri, di un potere pubblico loro conferito e non della privata patria potestas. Ma proprio questa conclusione esclude il fatto che tale potere sia entrato in gioco nelle sanzioni evocate negli episodi in questione. Essi non servono dunque né a escludere né a confermare il particolare carattere autoritario della patria potestas arcaica. Al contrario la struttura di tali episodi si fonda sulla presenza, in quest’epoca risalente, di un privato rapporto affettivo tra padri e figli. Anzitutto perché il carattere memorabile della sanzione irrogata ai figli – sia che derivasse dal ruolo pubblico dei padri o dalla loro patria potestas – deriva proprio dal conflitto, sottolineato da questi stessi accadimenti, tra affetti familiari e pubbliche lealtà. La durezza delle punizioni irrogate dai padri ai propri figli, lungi dall’escludere rapporti affettivi, insieme alla presenza di un principio d’autorità, li presuppone. Se l’autoritarismo della società arcaica, insomma, avesse escluso o emarginato gli affetti domestici, non vi sarebbe nulla da raccontare. Tali episodi esaltavano invece la memoria di una superiore lealtà verso la città, sino al sacrificio dei più intensi e sacri affetti privati. Certo, ci troviamo di fronte ad un conflitto di valori: ma non è questo un fatto abbastanza ovvio e destinato a ripetersi quasi come un topos storiografico?
- 25 25. Saller, 1994, Cap. V, p. 102 ss.
39La polarità costituita da ‘autorità’ ed ‘affetto’, piuttosto che proporsi in termini di due modelli organizzativi alternativi25, parrebbe così sfumarsi in una gamma più complessa di relazioni, anche in funzione di sistemi familiari e sociali diversi. L’affetto non è solo alternativo all’autorità, può essere incorporato in essa, come appunto le fonti antiche, richiamate da Saller, evocano.
- 26 Non si tratta di punti marginali, ma del mutamento del regime matrimoniale romano, delle aspettativ (...)
40Certo, resta appurato che gli stessi episodi richiamati da Saller non possano attestare il diritto di vita e di morte sui figli da parte del pater familias arcaico. Un diritto, seppure in forma essenzialmente simbolica, che è però richiamato da un’insieme di altre indicazioni attinenti alla sfera giuridica, non rimesse in discussione dallo stesso Saller. Soprattutto tale autore in nessun modo sembra orientato a sminuire il fatto che l’intero sistema giuridico romano arcaico, in modo molto analitico, confermi una pressoché assoluta concentrazione dei poteri giuridici ed economici nelle mani del pater, con la sostanziale subalternità di tutti gli altri membri del gruppo familiare, indipendentemente dall’estensione o dall’illimitatezza dei poteri del pater su di essi. Ed è proprio nel sistema di norme che regola la famiglia, il regime dell’accesso alle risorse economiche, le forme di successione nel loro godimento, la condizione della sposa etc., che appariva l’azione di un processo evolutivo con la progressiva trasformazione del sistema familiare a favore di una maggiore autonomia dei singoli membri della famiglia26.
41D’altra parte, anche tralasciando la disciplina giuridica della famiglia romana arcaica e valorizzando di contro il tipo d’informazioni ricavate da altri sistemi documentari in ordine al carattere relativamente ‘moderno’ dei rapporti familiari esistenti tra fine repubblica e principato, restava comunque da superare un’altra difficoltà. Sino a che punto, infatti era legittimo proiettare all’indietro questi risultati, ridisegnando anche la storia familiare dell’età più antica di Roma? L’idea di una continuità di strutture e di funzioni in contesti sociali profondamente mutati non è infatti ovvia, proponendosi piuttosto con un carattere controintuitivo e che va dimostrato positivamente. È qui, però, che si può cogliere il particolare rilievo assunto dalle premesse antievoluzionistiche fatte valere dall’autore, in linea con un generale orientamento della storiografia recente che ho già avuto occasione di richiamare.
42L’insistito richiamo agli errori evoluzionisti serve infatti a Saller per negare legittimità all’ipotesi tradizionale di un passaggio dalle forme arcaiche, associate all’immagine del patriarca primitivo, a forme più evolute: dall’autorità di un padre-sovrano agli affetti familiari. Uno schema del genere non è un dato ovvio: e l’autore ha ragione di richiamare l’attenzione su questo punto. Il che, tuttavia, non legittima poi un’operazione di segno opposto ma di più grave inconsistenza metodologica. Cosa infatti permette di proiettare verso un’età ed un contesto storico molto diverso il quadro che forse si può ricavare da un insieme di dati riferiti ad età ben più tarda?
43In astratto si può dire che, come non è dimostrato il mutamento non è neppure dimostrata l’identità di situazioni. Applicare quindi l’idea di continuità a situazioni tanto diverse come la Roma di Servio o delle XII Tavole e la società romana d’età imperiale appare quanto meno azzardato. È qui che la critica degli orientamenti evoluzionistici costituisce il grimaldello attraverso cui l’autore fa emergere, quasi come necessitata, questa concezione continuistica: bastava condannare, come rientrante all’interno dell’erronea prospettiva evoluzionistica, ogni idea di trasformazione o di evoluzione. Certo, a ciò preliminare era la liquidazione del materiale giuridico ben diversamente orientato. Dissoltosi questo, in cos’altro si poteva infatti cogliere fondatamente la prova della trasformazione dei rapporti familiari nei vari periodi di Roma?
44È probabile che le precedenti generazioni di storici e, soprattutto, di romanisti abbiano abusato di questo concetto di ‘evoluzione’, assumendolo come chiave interpretativa di troppi e troppo eterogenei fenomeni. Ci troviamo però ora di fronte all’emergere di una nuova e opposta ortodossia che, rifiutando giustamente d’adottare la panacea delle spiegazioni di stampo evoluzionista, finisce col rischiare di disinteressarsi degli stessi processi di trasformazione delle forme sociali. Non solo, la polemica antievoluzionista getta la sua ombra sullo stesso valore della documentazione giuridica. Una volta riconosciuta l’imprudenza di immaginare un’evoluzione dei rapporti sociali, le eventuali informazioni che potrebbero deporre in tal senso o finiscono con l’essere emarginate o finiscono con l’essere reinterpretate in modo abbastanza radicale. Tali ostacoli vennero in effetti superati da Saller con la semplice rimozione del peso della documentazione giuridica.
- 27 Saller, 1994, p. 103, ma v. anche p. 30.
- 28 Crook, 1967, p. 114.
- 29 Una cosa è infatti il particolare metodo perseguito dai giuristi romani nella verifica dell’ambito (...)
45Sul punto incontriamo nelle sue pagine una presa di posizione, seppure indiretta, fondata su un’abbastanza singolare affermazione di J. A. Crook. Un’idea introdotta un po’ di passaggio, ma in seguito più fortemente sottolineata negli studiosi successivi27. Crook afferma dunque che “ the Romans in law not only... pushed things to the limit of logic, so that, given that paterfamilias had certain roles, their implications were rigorously drawn; they also kept law sharply apart from religion and morals, so that the legal character of patria potestas stands out in sociologically misleading clarity ”28. Un’asserzione di carattere così generale, buttata lì un po’ en passant, può avere molti significati ed essere varia-mente richiamata, in contesti anche molto lontani. Sotto un certo profilo essa comunque sfiora la vera e propria inesattezza: mi limiterò ad annotare come la ricchezza di casi pratici evocati dal digesto e la stessa logica che sembra aver governato gran parte dell’opera dei giuristi romani parrebbe smentire un’idea del genere29. Giacché essi, per quel che sappiamo, parrebbero piuttosto esplorare i limiti entro cui le singole soluzioni e regole giuridiche potevano essere sviluppate secondo una logica coerente senza perdere di vista la ‘forza delle cose’ da un lato, valori superiori quali l’equità, dall’altro. Ma quello che soprattutto mi colpisce è il fatto che su una genericità siffatta si sia fatto riferimento per legittimare una visione molto ipotetica che consiste nel contrapporre l’astrattezza dei giuristi romani alla vita reale della società.
46In effetti appare più che dubbio che si possa fondare su un assunto così frettolosamente enunciato, e in forma così generica, un’interpretazione storiografica abbastanza complessa. Tanto più che di esso, non mi risulta sia stato abbozzato nel libro qui considerato (come del resto anche nelle altre opere recenti che pur ne condividono l’orientamento) alcun tentativo di dimostrazione. Sembrava quasi dissolversi nel nulla un sistema documentario di notevole importanza, anzitutto quantitativa, che non riguardava solo regole e leggi, ma in cui pratiche, preoccupazioni, conflitti legati alla vita domestica ed ai rapporti di parentela appaiono recepiti e interpretati nella loro complessità dai giuristi alla luce dei loro schemi.
47Certo si è che un aspetto sembra esser venuto quasi del tutto meno all’interno delle più recenti tendenze qui considerate: il problema della trasformazione delle forme sociali ed istituzionali. Un problema che, per una storia che copre un arco cronologico di non pochi secoli, non è certo cosa da poco. L’insistito accento posto sull’ ” evidence ” non deve ingannarci, anche perché, come ho sottolineato, non tutto il corpo documentario sembra assumere la stessa rilevanza. I procedimenti davanti ai quali ci troviamo, la cancellazione di un possibile ‘prima’ delle relazioni familiari tardo-repubblicane, diverso da queste ultime e pure ad esse collegato, non fa che impoverire il nostro quadro di riferimento. Non tutto il presente è diverso dal passato, anche se da esso discende, ma rinunciare ad interrogarsi sulla complessità di tale relazione, cercare di descrivere il presente solo col presente significa, alla fine, dimezzare la prospettiva dello storico. Sarebbe come leggere le eternamente giovani pagine di Orgoglio e pregiudizio, così evocatrici di preoccupazioni finanziarie, di problemi successori, di intrecci ereditari e di giochi di ruolo, immaginando che la subalternità femminile che ne traspare – subalternità sociale e giuridica che serve anche a far intuire altre e opposte gerarchie di valori che stentavano a farsi strada – fosse da porre in relazione solo con gli orientamenti gerarchici e repressivi propri della società early-victorian. Dimenticandosi di quelle radici feudali in cui affondava la società inglese dell’epoca, quasi che il modo di trasmissione dei patrimoni fondiari nulla avesse a che fare con questa storia più antica.
- 30 Gardner, 1998, p. 268 s.
48Erano peraltro evidenti ormai i risultati dell’esplorazione avviata da tempo dai “ social historians... of emotional and moral relationships within the family group ”, con cui s’era “ challenged the authoritarian image of the paterfamilias presented by the legal rules, while demographic studies have challenged the assumption that such paternal control was a social reality for much of the lifetime of many Romans ”. In tal modo sembrava superato “ the distorting effect of the concentration, in most studies of Roman law, of the purely legal content ” dei poteri del pater, derivante dalla centralità, per i giuristi, degli aspetti formali, che li aveva portati a concentrarsi “ on describing changes in the legal content of patria potestas, and in particular on cataloguing successive limitations and restrictions on its components ”30.
- 31 Cantarella, 1992, p. 99 ss. Più di recente s’è avuto un breve interevento di A. McClintock, a Georg (...)
49All’acuta autrice di queste valutazioni non sfuggiva certo il tipo di opportunità che il mutamento così intervenuto offriva ai nostri studi, divenendo possibile un confronto ravvicinato tra metodi e punti di vista diversi. Era l’occasione per quel tipo di dibattiti che, se svolti con chiarezza di posizioni e con ricchezza di argomenti, costituiscono un passaggio necessario per il progresso dei nostri saperi. Ad esso ho fatto riferimento a più riprese nel corso di queste pagine. Soprattutto, mi sembra, s’imponeva allora la necessità ma anche la grande opportunità di una vasta e profonda riconsiderazione, da parte dei romanisti della visuale tradizionale della famiglia romana, mettendo in questione la loro visuale sostanzialmente bloccata. Non è un caso che la reazione più significativa si sia avuta da parte di una delle studiosi più sensibili ai nuovi orizzonti ed alle nuove problematiche: Eva Cantarella31. In un suo saggio del ’93 si formulò forse l’unica vera presa di posizione espressa dagli storici del diritto in ordine alle nuove tendenze. Si trattava di un intervento critico che avanzava forti dubbi sulla generalizzabilità delle conclusioni avanzate da Saller nella sua interpretazione dei dati ricavati dalle epigrafi funerarie. In esso si attirava poi l’attenzione sulle riserve sempre più frequentemente avanzate dalla storiografia angloamericana sull’esistenza di quel ius vitae ac necis, assunto a simbolo della forza dell’antica patria potestà. È un punto, quest’ultimo, su cui avrò modo di tornare più ampiamente nella parte finale di questo mio scritto. Mi limito a segnalare come a ragione la studiosa milanese richiamasse, a conferma non solo della presenza di rapporti potestativi persistenti su figli già adulti, ma anche della loro rilevanza sociale, il significato di meccanismi, quali il peculium e le azioni adiecticiae qualitatis. Particolarmente rilevante apparivano infine le riserve metodologiche che l’autrice sollevava per la progressiva svalutazione delle fonti giuridiche effettuate dalla storiografia anglosassone. Le mie pagine in qualche modo tendono a confermare la fondatezza di questo allarme.
- 32 Cfr. Martin, 1996, p. 40 ss., v. anche supra, nt. 12.
50È interessante notare come queste riserve non fossero isolate: lo prova un altro interessante contributo, di poco successivo, di Dale B. Martin, sul Journal of Roman Studies, nel quale si avanzavano sostanziali riserve sulla conclusioni che Saller e Shaw avevano tratto dalla vasta analisi delle epigrafi funerarie romane32. Insieme a tali critiche, appare particolarmente stimolante l’idea proposta in queste pagine che la realtà sociologica della famiglia nucleare potesse non essere affatto contraddittoria con la presenza di forme allargate, ma vi si potesse inserire come nucleo qualificato da specifici valori.
- 33 C’è veramente tanto di nuovo, ad es., nelle pagine di Treggiari, 2005, p. 9 ss., o in quelle di Bra (...)
51Con tale intervento diveniva evidente la presenza, nella storiografia sulla famiglia romana, di una pluralità di vedute, che ben presto avrebbe prodotto i suoi frutti più ricchi, riassorbendo in una prospettiva più ampia il carattere troppo univoco di certe interpretazioni proposte di recente. È vero infatti che il nuovo consensus continuò ad esprimersi senza troppe innovazioni, come attesta la recente ricerca collettiva a cura di Michele George33. Ma senz’altro più importante appare la crescente sfaccettatura problematica sviluppatasi all’interno della storiografia anglosassone, aggiustando e temperando le formulazioni più estreme già in essa maturate.
- 34 Bradley, 1991, raccoglie vari saggi pubblicati negli anni precedenti, la maggior parte dei quali re (...)
- 35 Bradley, 1991, p. 31 ss., e 201
52Del resto, a ben vedere, sin dall’inizio, questo vario articolarsi d’orientamenti era presente in essa, con l’intreccio di filoni autonomi e, addirittura, contraddittori rispetto alle tendenze più evidenti. Un caso tanto rilevante quanto evidente è costituito in tal senso dall’opera di un altro interessante studioso che ai temi della famiglia romana s’era avvicinato partendo soprattutto dai problemi relativi alla stratificazione sociale ed alla schiavitù: Keith R. Bradley. Se ci concentriamo su quello che forse è il suo lavoro più importante in quest’area tematica, Discovering the Roman Family, del 1991, nel quale si raccoglievano molti risultati del suo precedente percorso scientifico, vediamo come fosse proprio la famiglia nucleare ad essere svalutata per la società romana34. Al contrario, anche attraverso la giusta valorizzazione degli effetti del diffuso sistema dei divorzi nella società tardo-repubblicana ed imperiale, e della complessità di relazioni intrafamiliari allora affermatasi, l’a. tendeva a concludere come fosse una diversa concezione “ as a totality that dominated the Roman familial mind” ” essendo essenzialmente la famiglia romana assai lontana e diversa della famiglia nucleare contemporanea35.
- 36 Saller, 2007, p. 87 ss.
- 37 Saller, 1997, p. 7 ss. Il punto centrale in esso affrontato è, come scrivono gli editori nella loro (...)
53Ma, a rendere ancora più articolato il quadro che si veniva delineando verso la fine del secolo, non va sottovalutato, insieme agli interventi critici ed alla persistenza di filoni di ricerca alternativi, il fatto che anche nei protagonisti delle tendenze fortemente revisionistiche nell’interpretazione della famiglia romana fossero presenti punti di vista non facilmente riconducibili ad una stretta unità interpretativa. In essi infatti è dato di cogliere, ad es., la tendenza ad un almeno parziale recupero di quella tradizione storico-giuridica che sembrava affatto emarginata. Lo si coglie bene, ad es., nell’equilibrata, anche se molto rapida, panoramica proposta in apertura della Cambridge Economic History of Graeco-Roman World, da Richard P. Saller, che rivaluta in misura sostanziale l’antica prospettiva romanistica e le connesse problematiche36. È una maturazione che viene da lontano, se si considera un altro saggio di questo stesso autore pubblicato già nel ’97 in un’opera miscellanea, frutto delle ricerche progettate dall’Università di Canberra37.
- 38 Garnsey, 1997, p. 101.
- 39 Weaver, 1997, p. 55 ss.; Dixon, 1997, p. 149 ss.
54In quest’ultima, a sua volta, più di un saggio appariva collocarsi in codesta diversa e più articolata prospettiva. Ciò che non può meravigliare molto in un autore da sempre molto attento e perspicace nella lettura dei testi antichi come Peter Garnsey, nel suo esame dell’influenza del cristianesimo sulle condizioni subalterne all’interno della famiglia, figli e schiavi38. Sono forse più significativi, in tal senso, i due saggi di Weaver e della stessa Dixon, ivi pubblicati, dove, sotto profili e con logiche diverse, gli aspetti legali, lungi dall’essere sottovalutati, appaiono assunti come elementi essenziali del processo ricostruttivo39.
- 40 Gardner, 1997, p. 35 ss.
55E nuova e più matura è, in questa stessa opera, la sensibilità per la complessità delle situazioni indagate che si propone nell’intervento di Jane F. Gardner, dedicato agli ostacoli legali esistenti in Roma per le “ lower-class ” famiglie. Colpisce, in esso, l’intelligenza interpretativa dei testi giuridici romani, tanto più che, coerentemente alla tradizione di studi cui appartiene l’autrice, non solo le note di riferimento sono ridotte al limite, ma è assente praticamente ogni richiamo alla pur non irrilevante letteratura romanistica40. Ci troviamo insomma di fronte ad un modo agile ed incisivo di muoversi nel campo tutt’altro che semplice degli status personali e della condizione dei figli all’interno di relazioni matrimoniali anomale. Problemi affrontati sia dalla legislazione che dalla riflessione giuridica romana, rispetto ai quali l’autrice offre un percorso interpretativo suggestivo e persuasivo.
56Ad arricchire ulteriormente questo quadro tale autrice avrebbe pubblicato, nel 1998, una monografia su Family and ‘familia’, che a mio avviso segna un momento importante nella moderna storiografia sulla famiglia romana. In essa infatti quelle che negli anni precedenti erano potute apparire le sfocature derivanti da una troppo unilaterale sopravvalutazione di alcuni aspetti di un sistema di relazioni complesso facente capo all’ordinamento familiare appaiono decisamente corrette. E forse mai con tanta chiarezza s’impone come oggetto centrale della ricostruzione storiografica il significato economico-sociale del sistema familiare romano. Pur non riprendendo in alcun modo il formalismo delle tradizionali discussioni dei giuristi, Jane Gardner tendeva così a ribaltare il processo d’assimilazione della famiglia antica a quella moderna operato da tanti autori contemporanei, con la sostituzione della famiglia nucleare all’antica famiglia patriarcale. Di contro l’autrice insisteva sulla distanza della moderna immagine dell’unità familiare come sistema di vincoli parentali ed affettivi dalla sfera di valori e relazioni evocata dal termine latino familia. Partendo da tali premesse la sua analisi tendeva a mettere in adeguato risalto il significato centrale della costruzione familiare romana come chiave di volta di un complesso sistema economico-sociale41.
57In qualche modo, questa, era una prospettiva abbastanza ovvia, eppure essa era restata affatto trascurata nella riflessione giuridica, in ragione della forte settorializzazione di questa disciplina. In effetti lo stesso legato dei giuristi romani aveva trasmesso alla storiografia giuridica moderna una struttura formale che aveva oscurato e apparentemente trascurato il significato economico-sociale dell’azione convergente dell’insieme di regole riferite al sistema familiare. Un significato definitivamente sepolto dalla latente od esplicita attualizzazione perseguita dalla pandettistica ottocentesca.
- 42 Mi riferisco in particolare a Frier-McGinn, 2004, 3 ss. Anche in questi, come già in Gardner, il di (...)
58È probabile che, a favore della studiosa inglese, giocasse, insieme alla deliberata attenzione per questo stesso sistema di regole, un suo certo distacco dal forte tecnicismo dei romanisti continentali. Certo si è che, con il suo libro, si ricavava dalla documentazione giuridica antica un punto di vista relativamente nuovo, portando ad un maggiore e più organico livello di consapevolezza molti spunti già presenti nella letteratura precedente. Il patrimonio di conoscenze di cui i romanisti erano stati i depositari, ma che avevano contribuito a disarticolare, ricondotto ad unità, dava così luogo ad una nuova comprensione dell’ordinamento familiare romano. Con quest’opera parrebbe dunque avviarsi quel ripensamento globale del “ tipo d’informazioni ricavate dalla vasta documentazione giuridica ” di cui parlavo in precedenza, come del resto appare confermato anche dai più recenti contributi di altri interessanti studiosi angloamericani42. Sono convinto che questo modo in parte nuovo di studiare e comprendere i fenomeni giuridici possa dare grandi risultati e sia, comunque, una condizione fondamentale per il superamento delle separatezze e dei troppo accentuati unilateralismi che sono venuto rintracciando nel corso di queste pagine.
59Con la consapevolezza di quanta nuova conoscenza possa ricavarsi dall’antico materiale giuridico esaminato in questa forma innovativa, s’impone in modo sempre più urgente l’esigenza di una complessiva revisione critica delle nostre idee, le più antiche come le più recenti, anche in relazione a certezze consolidate ed apparente-mente intangibili. Io spero che nei prossimi anni una nuova stagione di studi possa così dare risposte soddisfacenti e più ricche di contenuti ad antichi e nuovi quesiti che si sono venuti accumulando all’interno dei nostri studi.
- 43 Viene immediatamente in mente un’opera che ho già citato e che pesa notevolmente e non solo nella s (...)
60Per quanto mi concerne, ad es., ritengo che ci si debba nuovamente interrogare sulla stessa nozione di ‘famiglia patriarcale’: un’idea-chiave sia nelle ricostruzioni più antiche dei giuristi, sia nella revisione critica dei moderni. Mi sembra, in effetti, ormai indispensabile riconsiderare in tutta la sua complessità il problema dell’impiego di un riferimento così carico si significati, ma per ciò stesso così ambiguo. Se, ad es., uso il termine ‘patriarcale’ per connotare gli aspetti economicogiuridici del sistema familiare, mi limito a proporre una qualificazione con un valore circoscritto ad una sfera relativamente ristretta, all’interno della più vasta comunità politica, che al massimo può illuminare il funzionamento del sistema di relazioni familiari ed il loro concreto impatto sociale. Tuttavia, soprattutto nel corso dell’ ‘800 – e per primi i romanisti: penso ad es. allo stesso Bonfante – hanno intorbidato le acque usando uno schema costruito col materiale giuridico ‘privatistico’ per estendere la loro ricostruzione all’intera struttura del corpo sociale cui l’istituzione ‘patriarcale’ atteneva. In effetti colui che si occupa degli schemi giuridici romani può usare, in via convenzionale e per sintesi, il termine ‘patriarcale’ a indicare una gamma relativamente ampia di situazioni: in primo luogo il semplice mono-polio di una serie di poteri sui beni economici afferenti al gruppo parentale, la cui titolarità è pertanto di esclusiva spettanza del suo unico capo. Questa posizione tuttavia può essere analizzata anche sotto il profilo della gerarchia sociale che ne deriva e del suo impatto sulle strutture istituzionali. Infine – e questo è stato il punto d’arrivo della nostra vecchia tradizione di studi – il quadro così delineato può essere utilizzato come fondamento per una più generale e comprensiva ricostruzione dell’assetto politico della società primitiva, di cui codesto potere ‘patriarcale’ verrebbe interpretato come l’asse portante. Senza poi considerare che la stessa immagine di ‘famiglia patriarcale’ viene a modificarsi all’interno delle singole tradizioni culturali43, oltre al fatto che altri meccanismi possono o no collegarsi ad essa, quali la parentela agnatizia, la forma patrilocale e patrilineare, etc. E senza considerare che lo schematismo proprio di questa ed altre nozioni del genere finisce col sacrificare in partenza la complessità di un’interpretazione storiografica che deve fare i conti con elementi molteplici e contraddittori: come ricondurre al suo interno il tipo di relazioni evocate dall’onomastica romana, dove può intervenire esplicitamente un richiamo alla discendenza femminile?
- 44 Su tutto ciò si v. soprattutto Capogrossi, 1969, p. 64 ss.; 1997, p. 319 ss., 370 ss., e 2008, p. 2 (...)
- 45 Senza considerare un altro aspetto non meno importante: il possibile uso troppo unilaterale dei sis (...)
61In nessun modo questo sistema di riferimento – e qui, come sappiamo, caddero appunto Bonfante e tutti gli autori ottocenteschi44 – ci dice qualcosa sulla presenza di forme familiari allargate o sul fatto che le varie famiglie nucleari costituite all’interno del gruppo domestico sotto il pater ancora vivente restassero domiciliate nella casa di questi o si localizzassero in forma autonoma, o se i vincoli personali ed affettivi fossero determinati dai rapporti giuridici. In altre parole dal sistema giuridico sappiamo che la parentela agnatizia è più rilevante, per vari aspetti, della parentela per via femminile, ma non possiamo poi automaticamente ricavare la conclusione che i cugini agnatizi fossero tra loro più legati dei cugini per via femminile. Solo indirettamente ed avvalendosi necessariamente di altri riscontri, infatti, si può dire qualcosa sul tipo di pratiche sociali connesse a tali rapporti, ma regolate in gran parte da altri e concorrenziali criteri. D’altra parte la presenza di legami di particolare intensità tra i parenti più prossimi, anzitutto tra genitori e figli, la stessa diffusione di famiglie nucleari arricchiscono, ma non dimostrano certo l’inesistenza di quella peculiarità organizzativa che rende così diversa, sul piano della struttura, la famiglia romana da quella moderna. Lo storico si trova di fronte ad un sistema complesso d’informazioni che deve inserire in una griglia interpretativa comprensiva e, quindi, adeguatamente articolata45.
62D’altra parte le stesse acquisizioni di questi ultimi decenni ci pongono ulteriori problemi: come si relaziona, ad es. il sistema, pur reale e tanto sovente sottolineato, degli affetti e delle lealtà interindividuali e la parallela emergenza della cognatio e della famiglia nucleare, con la persistente struttura giuridica della famiglia e con la forte dominanza maschile? Che storia possiamo ricostruire a proposito della indiscutibile crescita di ruolo e di autonomie dell’elemento femminile, almeno ai livelli più alti della società tardo-repubblicana? E ancora: come si conciliano i dati, pur affatto plausibili, intorno all’età matrimoniale ed alla durata della vita, con l’indiscutibile rilevanza della subordinazione dei figli adulti alla sfera giuridica dei padri? Sarebbe sufficiente pensare alla commedie di Plauto e Terenzio per trovare stereotipi che, per quanto convenzionali, hanno comunque a che fare con la realtà cui erano assuefatti gli spettatori romani. E, infine, come conciliare il carattere generalizzante che tendono ad assumere le indicazioni delle fonti giuridiche con la maggiore attenzione, non solo per le diversità regionali e culturali, ma anche e soprattutto per la diversità di significato delle istituzioni familiari all’interno della stratificazione sociale, evidenziata dalla più recente storiografia?
63La questione centrale è comunque costituita dalla coesistenza di sistemi d’informazione in conflitto tra loro: e questo sinanco all’interno delle fonti giuridiche romane d’età tardo-repubblicana ed alto-imperiale. Si pensi solo all’enorme peso, nell’ambito del diritto romano, del sistema della tutela, all’emergenza della curatela dei minori dei venticinque anni per apprezzare appieno l’indiretta conferma che ne proviene in relazione all’interpretazione di Saller del quadro demografico del sistema familiare romano. Ma si consideri poi come una dimensione ancora più importante sia assunta, a partire dalla media repubblica e sopratutto in età successiva dal sistema dei peculia e dalle actiones adiecticiae qualitatis. Questi blocchi molto innovativi e importanti del sistema giuridico, sviluppatosi sotto il controllo del pretore, appaiono costruiti in funzione di una utilizzazione ottimale di due fondamentali situazioni giuridiche. Mi riferisco da un lato a quella schiavitù che, totalmente trasformata delle sue radici arcaiche, a partire dal iii sec.a.C. s’era estesa e straordinariamente articolata nelle sue applicazioni, dall’altro alla condizione dei figli adulti ancora in potestate patris. Sebbene gli equilibri, anzitutto quantitativi, del materiale selezionato dai commissari giustinianei non riflettano l’originaria rilevanza dei vari argomenti affrontati dai giuristi tardo-repubblicani e del Principato, tuttavia è indubbio che l’articolarsi minuzioso di una casistica assai ampia, l’insistenza su alcuni specifici problemi ed il ricorrere nel tempo di discussioni e di soluzioni, lo stesso intervento innovativo attraverso leggi e senatoconsulti, sono tutti elementi che attestano la rilevanza di tali questioni all’interno della società romana e nel corso di un lungo periodo della sua storia.
64Ovviamente non è questa la sede neppure per accennare a qualche ipotesi in grado di dar conto di tali contraddizioni e della diversità d’informazioni di cui disponiamo. Su un punto vorrei comunque tornare in fine di discorso, come progetto di ricerca che s’innesta sugli ultimi sviluppi storiografici che qui abbiamo discusso. Mi riferisco al significato del sistema familiare romano come unità economica, oltre che sociale. In forma anche molto diversa, questo è vero per i vari strati sociali e anzitutto per i livelli superiori. Non sempre è facile seguire la storia dei grandi patrimoni, storia resa più complessa, nella tarda repubblica, per la crescente crisi demografica. E di non facile e univoca decifrazione, con il sempre più importante ruolo delle successioni testamentarie, l’estinguersi dei lignaggi, il sovrapporsi di matrimoni a divorzi e l’intrecciarsi di complicate parentele, la concentrazione e la rapida disgregazione delle concentrazioni di questi stessi patrimoni. Tuttavia si deve insistere sull’apparentemente immutato rilievo, in ambito giuridico, di quella originaria famiglia agnatizia, atta a costruire – in parte certo in modo artificiale – una unità anzitutto in termini di titolarità di diritti e quindi di ricchezze.
- 46 Mi riferisco soprattutto alle varie indagini volte a mettere in evidenza l’affermazione di un’artic (...)
65Si potrebbe dunque immaginare che questa unità, lungi dal considerarsi come mero arcaismo o ‘sopravvivenza’, potesse svolgere una funzione positiva, permettendo la ripartizione gestionale tra più soggetti, a vario titolo legati all’unico titolare ultimo del patrimonio, il pater. Una ripartizione che circoscriveva la responsabilità del pater, il titolare esclusivo del patrimonio – il grande problema che sarà così centrale nella costruzione degli strumenti del moderno capitalismo – ma, soprattutto, ne potenziava l’azione attraverso una molteplicità di strumenti operativi, figli, liberti e schiavi. La prolungata persistenza della forza assorbente della patria potestas, lungi dall’essere solo frutto di una vischiosità del sistema, ne attesterebbe in tal caso la funzionalità a queste nuove esigenze. Su tutto ciò, del resto, in questi ultimi decenni s’è venuto accentuando un filone di ricerche di notevole importanza che ci permette sin da ora di intuire una complessità funzionale un tempo non presa in considerazione, potendo così chiederci se uno schema legale uniforme non sia per caso in grado di dar luogo ad una diversificata morfologia istituzionale46.
66Anche qui si tratta di evitare forzature e, ancora una volta, di non pensare il passato solo in termini moderni. Ma si tratta anche di partire dai problemi che conosciamo a dalla nostra storia per cercare di capire dove e in che modo si sia diversamente costruita la vicenda romana. Una storia che sembra così impregnata di quella logica di parentele, alleanze e clientele il cui alterno gioco sembra aver presupposto la forma della famiglia ereditata dai tempi più antichi. Dominata, forse, più da logiche di conservazione e di accumulazione che non da fenomeni di crescita endogena: ma anche su ciò si dovrà lavorare e non poco. Per il momento limitiamoci a prendere atto che abbiamo a che fare con una molteplicità convergente di problemi che potremo comprendere meglio solo se riusciremo ad avvalerci di un insieme di conoscenze che presuppongono competenze diverse e molteplici punti di vista.
- 47 Questa è l’indicazione presente all’inizio di Rawson-Weaver, 1997, 1.
67Mi rendo anche conto che queste considerazioni risultino un po’ troppo ovvie: a conclusione di una trattazione così ampia e, talora, dai toni accentuatamente critici, possono in effetti suscitare un’impressione d’ingenuità, oltre ad apparire un po’ saccenti. Ma che va discettando, insomma, costui, circa l’esigenza di fare appello a molteplici competenze e di richiamarsi costantemente a diversi sistemi di fonti, laddove tale orientamento è condiviso da tutti i moderni studiosi? Non è forse ormai acquisita, in tutte le recenti ricerche, la convergente “ contribution from cognate disciplines such as anthropology, sociology, archaeology, art history, and legal scholarship ”47?
- 48 È significativo in tal senso che proprio le linee ricostruttive, abbastanza tradizionali, presenti (...)
68Il problema tuttavia resta e resta proprio perché, com’è scritto in nell’introduzione ora citata, vi sono sempre inevitabilmente diverse “ perceptions of the evidence ” dei dati ricavati da queste stesse discipline. Ben sappiamo come l’ ” evidence ” non parli mai o molto raramente da sola. E qui torniamo a quanto ho accennato nel corso di queste pagine: che per quanto riguarda le fonti giuridiche ho ritenuto di poter cogliere talora un’eccessiva disinvoltura nella loro interpretazione, una sostanziale disattenzione verso il loro potenziale dimostrativo. Ma, per non restare nell’astratto, preferirò concentrarmi su un caso relativamente recente e da me prescelto, non solo per la qualità del contributo preso in esame e per l’indiscussa e meritata autorità scientifica del suo autore, oltre al ruolo da lui giocato proprio nelle ricerche sulla famiglia romana, ma anche perché, in apparenza, tutta l’analisi in esso condotta sembra esaltare la centralità delle fonti giuridiche. Mi riferisco ad un saggio di Brent D. Shaw, dove, come dicevo, si interviene direttamente sugli aspetti giuridici inerenti a tale materia, capovolgendo su più punti la tradizionale interpretazione delle fonti ad essi relative48.
69Il punto di attacco è costituito, ancora una volta, dal cuore delle antiche teorie patriarcali: la patria potestas. L’autore sostiene infatti che il suo contenuto non rifletta una qualche verità storica, come in genere si è ritenuto dai romanisti, ma sia il risultato di una costruzione artificiale, riflesso di precise componenti ideologiche, non rappresentando pertanto un dato strutturale dell’organizzazione giuridico-sociale romana. Quello che veniva ad essere radicalmente contestato era un punto fermo della tradizione romanistica rappresentato dall’estensione dei poteri del pater familias romano, largamente eccedenti le esigenze funzionali dell’organizzazione familiare. Una rappresentazione del genere, secondo Shaw, avrebbe infatti comportato una vera e propria falsificazione dei rapporti familiari romani in base a cui si riconosceva al pater un potere assoluto sui suoi sottoposti, sino all’arbitrario ius vitae ac necis sui suoi sottoposti. Al contrario, egli sostiene, “ not only did Roman fathers not exercise any such life and death decision by recognizing or not recognizing a newborn infant by ritualistically raising it... [il tollere liberos], they also did not exercise a potestas vitae necisque understood as a legal right to kill their own children ”49.
- 50 Shaw, 2001, p. 55 s.
- 51 Ciò è detto esplicitamente da Shaw, 2001, p. 66, e soprattutto nelle conclusioni del saggio, a p. 7 (...)
- 52 Shaw, 2001, p. 76 s. In effetti Shaw, 2001, p. 59, insiste sul carattere rapsodico e tardivo delle (...)
- 53 Shaw, 2001, p. 57 s.
70Per Shaw queste due immagini del potere paterno non sarebbero storicamente attestate, essendo l’una, il tollere liberos, piuttosto un “ modern myth ”, come risulterebbe da “ all the available literary and epigraphical data ”50, mentre l’altra, lo ius vitae ac necis del pater, sarebbe essenzialmente una costruzione mitica degli antichi51. Egli ritiene infatti che quest’ultima e più immediata espressione dell’onnipotenza del pater sia stata associata dai Romani d’età tardo-repubblicana ed imperiale ai miti di fondazione, al fine di “ guarantee its unquestioned status ” al pater tardo-repubblicano, invece largamente ridimensionato nella sfera dei suoi poteri52. Su questa deformazione antica si sarebbe poi innestata l’ottica evoluzionista dei moderni, ricavandone l’idea dell’originaria onnipotenza del pater arcaico, progressivamente temperata dallo sviluppo della società romana53.
- 54 Dovendosi piuttosto immaginare che la riaffermazione ritualistica di questo diritto di vita e di mo (...)
- 55 Shaw, 2001, p. 76.
71È l’insieme di questi miti, insomma, ad aver fondato lo schema evolutivo immaginato dai moderni, con la progressiva limitazione da parte dello stato dei poteri disciplinari del pater, eventualmente conclusosi con la statuizione di Costantino del 318 a.C. che imputava al padre uccisore dei suoi figli il reato di paricidium54. Essi non si sarebbero resi conto che tale “ simple linear evolutionary model ”, che fondava “ the development of the Roman social order ”, sull’originaria onnipotenza del pater progressivamente limitata dall’espansione del potere repressivo dello stato, in realtà era solo un “ powerful attractive myth ” che i Romani volevano ripetere a se stessi. E che i moderni, proni “ to their wishes ”, avrebbero passivamente recepito e sviluppato, trovandovi un’eco anche troppo familiare ai nostri preconcetti evoluzionistici. La storia vera sarebbe invece ben diversa, giacché in essa si cela il punto di partenza costituito dall’ ” unusual power of womens, sons, and other dependents in Roman society ”. Rispetto ad esso fu solo graduale, e frutto di un “ later development ”, la “ fabrication of clearly defined patria potestas expressed in law... rather then a primaeval given ”55.
72Nel riesaminare dunque i due elementi – lo ius vitae ac necis e il tollere liberos – la cui critica radicale ha permesso a Shaw di capovolgere la tradizionale concezione autoritaria e ‘patriarcale’ della famiglia romana, tanto legata ai nostri moderni studi di diritto romano vorrei anzitutto fare una precisazione di metodo. Non è infatti di per sé pacifico che una loro diversa interpretazione sia in grado di esaurire la questione della natura e dell’estensione della patria potestas nella storia della famiglia romana: ma sul punto torneremo alla fine del discorso, concentrandoci ora sul ius vitae ac necis del pater familias.
- 56 V. supra p. 156, ma v. soprattutto Harris, 1986, 81 ss.
73Rispetto a cui va immediatamente sgombrato il campo da quegli episodi un tempo richiamati come esempio di applicazione di tale potere paterno, avendo essi piuttosto a che fare con l’esercizio di un potere pubblico e non privato da parte del padre56. Escludiamo quindi che nelle fonti antiche vi siano molti riferimenti all’applicazione del ius vitae ac necis del pater (sebbene sussista sempre la vicenda, peraltro oscura, di Spurio Cassio). Dobbiamo però anche considerare la notevole quantità di ricorrenze in cui tale diritto, seppure di passaggio, o in forma meramente rituale, è comunque evocato da molti autori antichi. Si tratta di un’immagine ripetuta, senza alcun fondamento legale, solo di carattere retorico? È quello che tende a fare in effetti Shaw, che non contesta alla base tali riferimenti presenti nelle fonti giuridiche e letterarie. Egli piuttosto cerca di banalizzarne il contenuto, sostenendo che i patres romani, lungi dall’ ” exercize a potestas viae necisque undestood as a legal right to kill their own children ”, ad essa si richiamavano come una “ rhetorical assertion of the ‘great powers’ ” da essi affermati. Le ricostruzioni elaborate dai Romani più tardi avrebbero così avuto la funzione di “ anchoring this power in their foundation myth ”.
- 57 Altra cosa, ad es. è l’idea sostenuta a suo tempo da Yaron, 1962, p. 245, che il carattere relativa (...)
- 58 Cicerone, nella sua polemica con Clodio, gli contesta esattamente la legittimità e la validità dell (...)
- 59 Gell., 5. 19. 5-9: Sed adrogationes non temere nec inesploratae committuntur; nam comitia arbitris (...)
74Questa interpretazione non si fonda solo sulla svalutazione dei generici riferimenti al diritto di vita e di morte del padre, cui ho già fatto riferimento, e sull’inadeguatezza delle fonti tardorepubblicane ad illuminare una realtà più antica. Orientamento forse che non può essere assunto come canone generale, dato il diverso valore di riferimento delle molteplici fonti utilizzabili, andando oltre la pur doverosa cautela che deve comunque guidare le nostre ricostruzioni57. Essa infatti deve ridimensionare radicalmente anche il peso di due testi chiave richiamati e discussi da Shaw, uno di Cicerone e l’altro di Gellio. In entrambi infatti viene evocata una formula dell’adrogatio in cui ricorre il riferimento al ius vitae ac necis. Questo non significa che essi non possano gettare luce anche su una fase più antica del 57 a.C. (la data dell’orazione ciceroniana pro domo sua) o di Quinto Mucio, citato appunto nel testo di Gellio. Qui l’attenzione stratigrafica dello studioso americano per i termini di riferimento mostra un limite evidente, confondendo quello che noi giuristi chiamiamo il dies a quo, con il dies ad quem. Giacché i due testi non stabiliscono un limite che impedisce di andare indietro nel tempo, semplicemente certificano quando già tale riferimento era di uso corrente58. Non solo: il testo di Gellio attesta qualcosa di ben diverso di quello che ritiene Shaw, giacché in nessun modo circoscrive la formula in oggetto all’età di Mucio, rendendo almeno legittima l’ipotesi della sua preesistenza ad essa. In esso infatti si ricorda una innovazione dello stesso Mucio, ispirata alla volontà di evitare un impiego fraudolento dell’adrogatio, e destinata a rinforzare l’attenta disamina da parte dei pontefici delle circostanze di fatto dell’atto stesso (è su questo aspetto, del resto, che anche Cicerone aveva insistito nel suo discorso). Di seguito, a completare i riferimenti contenuti nel passo, si evoca la forma del rituale che si svolgeva di fronte ai comizi curiati in cui si richiamava il diritto di vita e di morte come espressione della nuova potestas derivante dall’atto stesso59.
- 60 SHAW, 60 nt. 76.
- 61 Ho riportato per intero il testo di Gellio per far capire l’assenza di qualsiasi fondamento dell’ip (...)
- 62 Delle due l’una, anche ammettendo (e lo ripeto non è vero) che la vitae necisque potestas del pater (...)
75Il punto centrale affrontato da Gellio, come già da Cicerone, è costituito dalle possibili applicazioni fraudolente dell’atto ed è in relazione ad esse che egli riporta l’innovazione introdotta da Mucio, come pontefice massimo, consistente nell’obbligo imposto alle parti di giurare che nessuna intenzione dolosa le ispirasse nell’atto. Nulla però fa pensare che anche il formulario dell’atto stesso, citato successivamente, fosse stato oggetto dell’innovazione di Quinto Mucio e nulla giustifica quindi l’affermazione di Shaw, che “ if Aulus Gellius... is to be believed, (ma perchè mai non dovremmo?) there is every reason to hold that the formula was concocted by Q. Mucius Scevola when he was Pontifex Maximus, at the same time that he formulated the oath that was put to adrogator and adrogatee ”60. Perché vi sarebbe “ ogni ragione di credere ” questa ipotesi così singolare: che Mucio innovasse la formula di un atto molto risalente e reso ancora più solenne da quell’arcaismo, così ripetutamente attestato nelle forme giuridiche romane (innovazione, a sua volta, del tutto irrilevante rispetto ai possibili usi fraudolenti del rito su cui interviene, appunto, il giurista)? In tal modo si assume come guida all’interpretazione del passo ciò che invece se ne dovrebbe ricavare come testimonianza: la volontà dello stesso Mucio di introdurre la nuova idea del potere di vita e di morte. Solo in tal caso si capirebbe la duplice innovazione di Mucio: il giuramento e la modifica della formula. Ma Cicerone ci parla solo delle possibili frodi che nulla hanno a che fare con la formula, per cui non vi è proprio nessun motivo per pensare che Mucio abbia anche modificato la formula arcaica, oltre a potenziare l’investigazione dei pontefici con il giuramento61. L’ipotesi di Shaw è tutta da dimostrare e non mi sembra affatto sia la cosa più ovvia che si presente alla mente dell’investigatore62.
- 63 Si noti, del resto, che non basta parlare di Dionigi D’Alicarnasso (pur con tutta la cautela che i (...)
76Senza considerare che avrei dei dubbi, se vogliamo occuparci di storia alto – e mediorepubblicana, sul criterio metodico enunciato dallo stesso Shaw, secondo cui “ does not exists a single contemporary source earlier than Cicero’s passing allusion to the power in his De domo sua of 57 B.C. ”. Cosa vuol dire? Forse che il passaggio ciceroniano e soprattutto il testo di Gellio non possono legittimamente aprirci una prospettiva, seppure più o meno ipotetica, per l’età anteriore a Quinto Mucio: o questa è esclusa a priori per l’assenza di una “ evidence ” cronologicamente corrispondente? Questo però avrebbe conseguenze non da poco per la nostra conoscenza di epoche anteriori all’ultima età repubblicana, dovendoci accontentare solo di quello direttamente attestato nel Lapis Niger, in Ennio o Livio Andronico o, al più tardi in Plauto e Terenzio, essendo lo stesso Polibio un po’troppo tardivo, per non parlare di Livio (o degli altri autori che riportano versetti delle XII Tavole)63.
77Per concludere: del rituale relativo ad un atto di cui è indiscutibile la grande antichità, noi conosciamo il formulario in esso impiegato nel i sec. a.C. Non conosciamo l’epoca precisa in cui esso s’è cristallizzato nella forma a noi trasmessa, anche se è da sottolineare l’arcaicità della lingua (l’endo è indicativo). Non sappiamo neppure se esso sia stato modificato nel tempo o non sia intervenuta addirittura una vera e propria falsificazione di un elemento pseudo-arcaico. Sono ipotesi possibili che però vanno discusse, se non dimostrate: il che non mi sembra sia stato adeguatamente tentato da parte di Shaw. Questo significa che, allo stato, non vi sono indicazioni positive dalle quali si possa dedurre che la simbolizzazione della potestà del padre con il diritto di vita e di morte sia stato un elemento introdotto nell’immaginario romano solo nel i sec. a.C. Di contro è abbastanza pacifico che l’esercizio positivo del potere d’irrogare una sanzione così definitiva come la morte non era assolutamente corrente tra i Romani d’epoca storica. Un potere dunque come simbolo, ma non, come s’è voluto vedere, come un ‘mito’.
- 64 Non solo: si pensi anche ad episodi come quello relativo a Manlio Torquato ‘l’Imperioso’, dove sono (...)
78A tal proposito dobbiamo ricordare come per noi giuristi sia ben chiara la differenza tra la titolarità di un diritto ed il suo esercizio effettivo. E, del resto, se un diritto esistente è teoricamente sempre esercitabile, ciò non significa che sia sempre esercitabile impunemente. Soprattutto nella logica dell’ordinamento romano è esattamente vero il contrario: Buona parte dei meccanismi innovativi e correttivi dell’antico ius civile legati al ruolo del pretore si fondano proprio sui disincentivi introdotti contro l’esercizio di diritti comunque conservatisi come tali all’interno del sistema civilistico. Sicuramente il censore aveva potenti strumenti per controllare e limitare l’esplicazione di poteri familiari in contrasto con la sensibilità e i valori dominanti: ma questo conferma, non esclude, l’esistenza di questi stessi poteri64. Ai nostri studenti insegniamo che l’esercizio del diritto e titolarità del medesimo sono due nozioni differenti: è il caso di ricordarlo anche in questa sede. Insomma un diritto può essere senz’altro riconosciuto dalla città, ma essa poi può porre limiti tali al suo esercizio, sino ad annullarne l’effettività.
- 65 Harris, 1986, p. 93 s.
79Mito, potere mai soppresso, potere mai esercitato, mera formula retorica o tardiva operazione di falsificazione? A tale quesito io credo si possa dare una risposta articolata, sviluppando un suggerimento a suo tempo avanzato da Harris65. Si potrebbe cioè pensare (oltre che ad un suo valore ideologico-arcaicizzante) ad una sua efficacia essenzialmente ‘in negativo’, sostanziandosi, tale potere, nell’assenza di ogni effettiva sanzione a quelle possibili condotte, volontarie o meno, dei patres atte ad ingenerare la morte o altri gravi danni fisici ai propri figli. Per quel che io sappia, non sembra infatti essere prevista dall’ordinamento romano una sanzione per l’eventuale iniuria arrecata al figlio e neppure per la sua uccisione. Egualmente l’esposizione degli infanti è una pratica che solo tardivamente viene a rilevare sotto il profilo normativo, non per essere vietata, ma solo regolamentata nelle sue conseguenze legali. Questo fa pensare che essa, in precedenza, fosse sottratta a qualsiasi controllo pubblico, non che fosse inesistente. Di contro il tardivo intervento imperiale a noi noto, volto a reprimere l’uccisione del figlio, ci costringe a chiederci quale fosse la disciplina precedente. Una cosa comunque mi pare abbastanza evidente, che il tentativo di dimostrare la tardiva fabbricazione del mito del diritto di vita e di morte, allo stato, sia tutt’altro che definitivo e, forse, neppure probabile.
80In più di un passaggio del testo di Shaw si può cogliere una certa quale insofferenza rispetto alle debolezze argomentative, sino a vere e proprie ingenuità metodologiche, che egli ritiene di cogliere in tanti studiosi di diritto romano, soprattutto italiani, nell’attardarsi in spiegazioni infondate, assai spesso ispirate a generici assunti evoluzionistici. E il tono di Shaw, anche per quella rapidità ed eleganza che la scrittura scientifica inglese facilita, assume in proposito un andamento un po’ liquidatorio. Debbo dire però che io stesso, nel riesaminare l’intera problematica e nel riper correre le analisi a suo tempo svolte dall’insigne studioso americano, resto a mia volta perplesso di fronte a quella che finisce con l’apparirmi talora un modello di ricostruzione storiografica troppo ambizioso per potersi permettere certe ingenuità.
81Queste considerazioni si riferiscono soprattutto alla ricostruzione da lui proposta di una figura molto oscura e dibattuta costituita dalla presunta cerimonia del tollere liberos. Lo studioso americano non solo ne aveva negato l’esistenza, ma aveva anche contestato radicalmente la legittimità dello stesso dibattito svoltosi in proposito tra i romanisti a partire dalla fine dell’Ottocento. In effetti questo problema non era stato pienamente risolto sino ancora alla fine del secolo scorso, soprattutto per la contraddizione esistente tra l’assenza di una portata legale dell’istituto da un lato, su cui dopo Perozzi e con la parziale eccezione di Volterra, con la sua particolarissima interpretazione, tutti i romanisti concordavano, e l’insistita presenza dei riferimenti ad esso nelle testimonianze antiche, in particolare in un particolare gruppo di documenti costituito dai diplomi militari in cui, tra i benefici concessi ai veterani, si richiamava questo tollere dei propri figli nati da futuri matrimoni.
- 66 Su tutto ciò mi sono già intrattenuto in un mio saggio nei Festschrift Knutel, Heidelberg 2009, Tol (...)
82Shaw insiste molto sul carattere mitico di una cerimonia in cui il pater avrebbe sollevato da terra l’infante, sancendo così in modo solenne la sua entrata nella familia legittima. E questo gli serve per ribadire il modo artificiale con cui è riconosciuta questa onnipotenza del padre, da cui sarebbe dipeso lo stesso destino del figlio. In tal modo però egli sottovaluta il fatto che i romanisti da lui criticati non hanno mai (dopo Perozzi) fatto dipendere l’integrazione del neonato nella famiglia e la sua subordinazione alla stessa potestas del pater da tale cerimonia. È questo del resto il motivo per cui non si è mai pervenuti ad una interpretazione plausibile del riferimento che incontriamo nelle fonti66. Resta tuttavia il fatto che, riesaminando la letteratura criticata da Shaw, non appare confermata in alcun modo l’idea da cui parte lo studioso americano secondo cui il mito dell’onnipotenza paterna sarebbe stato ancorato dai moderni romanisti a tale rituale. Essi infatti, al massimo, hanno potuto riconoscere ad esso un valore simbolico, ma sin dagli inizi del Novecento ne hanno sempre escluso ogni valore ai fini dell’acquisto della patria potestas.
- 67 Il testo che costantemente appare nei diplomi relativi ai veterani ordinari e solo per essi è infat (...)
83Restava tuttavia e resta tuttora, a oscurare l’intera questione, la difficile interpretazione delle formule che incontriamo nei diplomi militari. In effetti il quadro che ne abbiamo, partendo dai diplomi pubblicati nel Vol. XVI del CIL, oggi infinitamente arricchito dai ritrovamenti continui di nuovi documenti – che tuttavia confermano in modo impressionante gli schemi già individuati dagli editori del Corpus – colpisce per la sua note-vole stereotipicità e (a smentire la marginalità di quegli schemi giuridici richiamati da Crook come insignificanti o quasi nella prassi) per il rigore del linguaggio giuridico in essi utilizzato. Il quale, a sua volta, sembrava ricavato in toto dagli schemi esposti da Gaio e dagli altri giuristi romani nel descrivere la portata delle forme legali così evocate. Per questo, tanto più impressionante appariva la costante ricorrenza di una formula singolare, a proposito dei futuri matrimoni dei veterani delle coorti pretorie ed urbane e solo di esse: di soldati cioè che erano già cittadini romani al momento dell’honesta missio, in cui di costoro si dice, in relazione alle possibili nascite intervenute nei matrimoni legittimi stretti dopo la missio, che liberos tollant ac si ex duobus civibus Romanis natos67. Perché tale particolarità, se si considera che sia i figli futuri degli ex pretoriani che di tutti gli altri veterani, tutti gratificati del conubium con le future mogli, si sarebbero trovati nella stessa condizione giuridica? Nascendo da un cittadino romano e da una straniera che aveva il conubium con questi, il futuro figlio era senz’altro legittimo, cittadino romano e sottoposto alla ordinaria potestas del pater. Perché allora solo per alcuni di questi (i figli dei pretoriani) s’aggiungeva la formula relativa al tollere liberos? Quale peculiarità, giuridica o meno, poteva evocare tale forma verbale, vista l’identità di condizione legale dei futuri nati da giuste nozze?
- 68 Questi provvedimenti concernono invece essenzialmente i veterani delle truppe ausiliarie, sovente r (...)
- 69 Shaw, 2002, p. 45, 49 ss., parte dunque dalla considerazione affatto condivisibile che “ the stereo (...)
84A renderci incerti è appunto il carattere molto tecnico di questi documenti, tutti concentrati su situazioni di diritto (cittadinanza ai veterani e, sino ad una certa epoca, anche ai figli già nati durante il servizio da matrimoni irregolari: una forma di vera e propria sanatoria68, conubium con le precedenti conviventi e legittimazione ex post dei matrimoni già in essere, conubium con la moglie che sarebbe stata sposata successivamente alla missio). Quest’ultimo aspetto tende infatti a scontrarsi con l’idea che il riferimento al tollere liberos servisse semplicemente a spiegare il contenuto sociale della nuova situazione giuridica derivante dal conubium: l’ipotesi di Shaw69. Che comunque non evita la difficoltà che avevano già incontrato le soluzioni precedenti (e che Volterra aveva, in modo non del tutto convincente, cercato d’aggirare). La soluzione da lui proposta non spiega, infatti, il motivo della diversità di formule in relazione a situazioni future tra loro identiche. La sua ipotesi interpretativa fa sospettare che gli sia sfuggito proprio il punto nodale su cui s’è arenata la dottrina moderna.
- 70 Ritengo opportuno citare testualmente, anche in questa sede, la parte della sua comunicazione relat (...)
85Per il momento l’unica vera ipotesi che ho incontrato che in qualche modo sembra dare una risposta alle difficoltà tuttora presenti di fronte a noi è quella accennatami in una corrispondenza privata dall’amico Werner Eck, che suggerisce di capovolgere la tradizionale prospettiva con cui è stato affrontato l’argomento: quasi che i raffronto non fosse da tracciarsi da ex pretoriani ed ex ausiliari, ma tra i primi, già cittadini romani, e tutti gli altri cittadini, diciamo così, ‘ordinari’70. Resta comunque assodato che l’inadeguatezza del tentativo di spiegazione di Shaw non conferma il suo assunto, secondo cui questa singolare immagine del tollere non sia un effettivo problema che le fonti antiche pongono a noi, ma un’invenzione dei moderni per ribadire il fantasma dell’onnipotenza originaria dei padri nella storia romana.
86D’altra parte, come avevo accennato in apertura di discorso, questi due specifici aspetti del regime familiare romano: il rituale simbolico o meno nei riguardi del neonato, il teorico diritto di vita e di morte del padre non possono considerarsi determinanti ai fini della nostra ricostruzione del sistema di poteri disegnato dal sistema giuridico a regolare la struttura gerarchica della famiglia romana. Questa infatti non si esaurisce in nessun modo nella loro esistenza o meno, giacché il vero sistema di poteri e la loro efficacia economicosociale, oltre che legale, pur dipendendo da una molteplicità di fattori anche non giuridici, era definita dal gioco molto complesso di un insieme di elementi appartenenti a segmenti diversi dell’ordinamento giuridico: successioni, diritto delle persone, forme matrimoniali, diritti reali etc. Dov’è da mettere in adeguata evidenza addirittura la singolare persistenza nel tempo di questa così ampia dipendenza dei figli dai patres. In altre parole il potere – sovradimensionato o meno che sia stato – del pater familias arcaico, la natura ed il significato di un sistema familiare rigidamente agnatizio e l’assenza di rilevanza giuridica, sotto il profilo dei diritti privati, dei filii familias, la stessa diversa tempistica dei processi di emancipazione femminile e di rottura del primitivo sistema matrimoniale cum manu, nonché dei sistemi di successione ereditaria, rispetto all’emancipazione giuridica dei figli, sono tutti elementi di un quadro che, nel suo complesso definisce forme di subordinazione che appaiono finalizzate anche alla preservazione nel tempo di strutture coese, che probabilmente rispondevano ad esigenze ben diverse da quelle cui erano funzionali le istituzioni familiari in altri contesti storici. Il problema o uno dei problemi che gli storici ed i giuristi debbono porsi è la persistenza nel tempo di queste situazioni e la loro coerenza rispetto alle trasformazioni della società romana tardo-repubblicana e del principato. Pensare di esorcizzarle semplicemente polemizzando con – magari erronee o deformate – interpretazioni di peculiari istituti, anche se simbolicamente importanti, è un errore.
87Ho invero l’impressione che questo errore abbia un valore sintomatico, denotando una pericolosa, ma non isolata, sottovalutazione della ricchezza di un sistema di meccanismi ed istituti giuridici da cui deriva la complessiva fisionomia – anche economico-sociale – della familia romana. E questo ci porta non tanto alla rilevanza del diritto romano, da tutti riconosciuta a parole, ma alla comprensione del suo funzionamento. Non vi sono certo monopoli, come ha dimostrato di recente proprio uno storico ed epigrafista di vaglia Werner Eck che, agli annosi problemi dei romanisti sul tollere liberos ha cercato di dare una risposta che, allo stato, mi sembra la migliore mai tentata. Ma, appunto, per poter intervenire anche negli ambiti specialistici vicini, occorre anzitutto comprendere bene i problemi che si pongono al loro interno.
88In effetti è indubbio che i più recenti sviluppi storiografici abbiano avuto il merito di ricondurre le fonti giuridiche romane all’interno di una più ampia prospettiva storica. Resta però pregiudiziale il problema del loro significato che non sempre è di immediata percezione, essendo legato alle logiche interne di quella disciplina che i giuristi romani si sono costruiti. Gli storici come i romanisti debbono pertanto adeguare a queste logiche il loro sforzo esegetico. Questo significa che la fonte giuridica romana non può essere trattata come un’ ” evidence ” capace d’immediata ed univoca interpretazione. Non lo è anzitutto all’interno della logica di quel ius controversum, quindi relativamente incerto, in cui si sostanziava l’opera dei giuristi romani. Ma non lo è soprattutto perché il singolo caso, la singola soluzione sono sempre da ricondurre all’interno di una logica di sistema che ha guidato il lavoro di costoro. E qui non basta, francamente, limitarsi a citare Kaser o Watson, giacché il corpus di interpretazioni e di ipotesi su cui si fonda il nostro sapere è ben più ricco e problematico. Così come, per interpretare i dati archeologici o epigrafici non basta fondarsi su una qualche opera di sintesi, richiedendosi ben altra specifica competenza. Non vi sono dunque monopoli nelle nostre conoscenze, ma vi sono vincoli interni ad esse: e, del resto, questi operano anche al di là del diritto romano, giacché ormai mi sembra che si venga ripetendo un po’ troppo spesso il caso di nuove interpretazioni di dati e testimonianze antiche con cui si pretende di ribaltare interi settori delle nostre conoscenze storiche che sembravano acquisiti. Senza tuttavia che si faccia mai i conti con il fatto che il radicale mutamento del singolo dato va anche confrontato – perché possa accogliersi la modifica dell’intero quadro conoscitivo – con l’insieme di elementi su cui si è costruito nel tempo l’antico canone. Ciò che invece non avviene, rendendo a mio avviso molto effimeri questi nuovi mutamenti di paradigma.
89Riflettere su tutti questi aspetti è una sfida molto stimolante ed una grande occasione di rinnovamento e di arricchimento dei nostri studi. La strada, lo ripeto, è quella di un confronto e di un reciproco controllo tra saperi e tecniche conoscitive diverse e sistemi di conoscenza eterogenei ma convergenti quanto all’oggetto. Come sempre un’opportunità che, se mancata, può trasformarsi in un impoverimento, ingenerando solo l’illusione di saperne di più nel momento stesso in cui si perde consapevolezza della nostra sempre rinnovata e tormentosa inadeguatezza alla grandezza del compito.